' Clubhouse, i “sequestrati” in epoca di covid. Come illudersi di avere accesso al saper vivere globale e rischiare la dipendenza affettiva da un social in cui si parla in diretta, si esalta un qui e ora illusorio, che fa leva sul bisogno di universalità e condivisione delle esperienze (di paura? di impotenza?) oltre che sui meccanismi di autoaiuto delle comunità social. Nuovi teatri sociali riadattati alle condizioni pandemiche, senza Corpo, con la messa in scena delle sole Vo...ci, che improvvisamente si inseriscono nella mia vita con una notifica sul mio iPhone. Palinsesti casuali costruiti su argomenti non prefissati, ma passibili di continue trasformazioni, in cui vanno in scena in maniera indifferenziata dibattiti, discussioni tra visioni, filosofie di vita di personaggi famosi provenienti da ogni parte del mondo. I moderatori così sono molto “vicini” agli utenti. Luoghi virtuali che sfruttano la paura di perdersi qualcosa di importante che può essere detto mentre non sono connesso, che costringono le persone ad essere perennemente collegate, alimentando il loro bisogno narcisistico di sentirsi più vicini, più insieme a chi ha successo.' Altro...'