La regolazione affettiva: teoria e metodo di cura. - Associazione Essere Con
03 giugno 2021

La regolazione affettiva: teoria e metodo di cura.

La regolazione affettiva: teoria e metodo di cura.

A cura di Ivano Frattini

La psicoanalisi e le neuroscienze dovrebbero ormai essere condivise quali schemi di riferimento, che permettono di impiegare metodi scientifici differenti, al fine di indagare su aspetti diversi della persona.

La differenza tra corpo e mente non è tanto negli eventi osservati, quanto nei linguaggi con i quali vengono descritti. La psicoanalisi, per esempio, ci permette di indagare sulle cause inter e intrapsichiche della malattia o del disturbo; la neurobiologia e le neuroscienze ci consentono di approfondire la conoscenza dei meccanismi mente-corpo e dei substrati biologici dei dinamismi psichici.

D’altra parte, questo parallelismo non ci deve impedire di cercare i punti di convergenza nei quali si può trovare una corrispondenza biunivoca tra la mente e il corpo o dove le scoperte alle quali si giunge in una disciplina possono essere utilizzate per favorirne nell’altra (Taylor, 1987).

Tuttavia, si può davvero parlare di patologia somatica o psichico/sociale?

Non sarebbe più corretto parlare di malattia o disturbo come mancanza di regolazione psicobiologica, qual è l’affettività, espressione di una distorsione dell’identità?

L’affetto è un’informazione a base somatica che segnala il livello di attivazione degli organi vitali.

Quindi, regolare l’affetto significa regolare il corpo.

Il gruppo di ricercatori di Toronto, guidati da G. J. Taylor, ha assunto un ruolo di primo piano nel panorama contemporaneo delle scienze psicologiche, riuscendo a emancipare il costrutto “locale” di alessitimia, inizialmente confinata nell’ambito esclusivo della medicina psicosomatica, rendendolo il cardine di una spiegazione più ampia dei fenomeni clinici legati alla disorganizzazione affettiva. Taylor e i suoi collaboratori sottolineano come il costrutto di alessitimia sia un’entità transnosografica, che investe diverse patologie e che non può essere considerata un fenomeno “tutto o nulla”, come se si trattasse di una incapacità assoluta di provare ed esprimere emozioni.

Piuttosto, l’alessitimia va intesa come un deficit nella capacità di regolare gli affetti, che, a seconda del suo grado di strutturazione, può coinvolgere interamente la vita di un individuo e la sua modalità di esperire il proprio corpo, il proprio mondo interno e le relazioni con l’ambiente esterno, oppure intaccare specifiche aree mentali, relative a determinati contenuti dell’esperienza.

Storicamente i sintomi di conversione e i sintomi di somatizzazione venivano letti in relazione al loro presentarsi o meno in associazione con l’isteria di freudiana memoria; in particolare, i primi venivano considerati l’esito di un conflitto intrapsichico, i secondi la conseguenza di uno stress ambientale.

Nella prospettiva psicoanalitica contemporanea, il dibattito su questa differenza è approdato ad una rilettura della separazione tra sintomi di conversione e di somatizzazione, nei termini di una maggiore o minore capacità di elaborazione cognitivo-emotiva dell’esperienza affettiva. La sintomatologia somatoforme, nelle sue molteplici declinazioni, viene oggi tradotta, grazie alla moderna teoria degli affetti, come l’espressione di una difficoltà nella capacità di integrare fra loro le diverse componenti dell’esperienza emotiva, intesa come la sintesi complessa di fenomeni sensomotori, cognitivi e affettivi. Questa difficoltà si esplicita nell’espressione, nella differenziazione, nella verbalizzazione e, in ultima analisi, nella capacità di regolazione degli affetti.

Il cambio di paradigma è evidente, il costrutto di regolazione-disregolazione affettiva è divenuto la chiave di volta dell’attuale riflessione psicopatologica, anche in virtù del solido sostegno empirico fornito dall’Infant research e dalle ricerche in ambito neurobiologico, neuroscientifico e neuropsicologico.

Oggi si è portati a valutare la patologia somatoforme come un disturbo della regolazione psicobiologica e a pensare che la presenza di elementi emozionali non regolati o non elaborati, possa essere all’origine dell’alterazione del funzionamento corporeo. L’eziologia dei disturbi somatoformi viene ricercata in un difetto di regolazione e in un deficit della capacità di espressione emotiva. Questa ipotesi trova sostegno nei numerosi studi empirici che hanno dimostrato l’esistenza di una forte correlazione positiva tra il costrutto di alessitimia – letteralmente, assenza di parole per le emozioni – e la fenomenologia somatoforme. Nel soggetto alessitimico, infatti, essendo riconoscibile una difficoltà nell’identificare le proprie emozioni e nel comunicarle all’esterno, i livelli fisiologico e motorio-comportamentale dell’esperienza emotiva, rimangono privi di regolazione da parte della componente più cosciente, cognitiva e verbale.

L’affermarsi del concetto di disregolazione affettiva quale principale fattore esplicativo nell’eziologia delle patologie somatoformi, fornisce sostegno alla significativa rivoluzione paradigmatica che ha attraversato la psicoanalisi nell’ultima parte della sua storia, ossia il passaggio da un modello di lettura della psicopatologia basato solo sul conflitto, a un modello basato soprattutto sul deficit. Infatti, se consideriamo una difficoltà di esprimere / regolare le emozioni come il principale movente del salto dallo psichico al somatico, ci troviamo nell’area del deficit, non più in quella del conflitto, nell’area di una carenza e non in quella di una difesa; l’individuo non solo reprime, inibisce o nega emozioni e rappresentazioni incompatibili, ma piuttosto non ha parole per esprimerle (Taylor, 1999).

Psicologi e psicoterapeuti dovranno, pertanto, cercare di non cadere in una posizione di psicologismo riduttivistico, rappresentato dalla tendenza ad interpretare i fatti del corpo alla stregua di rappresentazioni psichiche, mentre nelle somatizzazioni acute il clinico dovrebbe evitare la tendenza opposta, cioè quella di interpretare i sintomi organici o psicosomatici come accadimenti estranei al contesto psichico (Scognamiglio, 2016).  In entrambi i casi, una spiegazione fisiologica e psicologica della regolazione affettiva ed emozionale può essere molto utile, in quanto è opinione comune separare le cause in fisiologiche/corporee o psicologiche, mentre il mondo emozionale investe entrambe le dimensioni contemporaneamente. Per questa ragione, sembra necessario per lo psicologo e lo psicoterapeuta avere un punto di riferimento in una teoria critica delle emozioni in quanto zona d'intersezione condivisa fra corpo e linguaggio. Bisogna riconoscere che le forme iper-moderne del disagio sociale e della patologia, manifestano ormai un carattere multifattoriale e sono connesse ad un progressivo svuotamento degli aspetti comunicativi e simbolici del linguaggio. Questo mette il corpo in una posizione particolarmente centrale nelle forme di comportamento, nonché di disagio psichico. Dai disturbi ansiosi depressivi a quelli dissociativi e post traumatici, alle forme compulsive, l'intervento psicologico è sempre più tenuto a confrontarsi con le resistenze del corpo, a maggior ragione, se si decide di lavorare con un paziente con patologia somatica, proprio per la dissociazione in cui questi già si vive in relazione alla malattia. Infatti, usualmente questo tipo di paziente non corrisponde, per comportamento, capacità elaborativa, aspettative rispetto alla cura e per le caratteristiche che comportano la complessità e multifattorialità della condizione patologica, ai quadri di comportamento comuni ad una persona qualunque che si rivolge ad una consulenza esclusivamente psicologica. Bisogna capire che più ci si allontana dalla parola, più ci si avvicina al corpo (Ibidem). Ciò indica, in maniera abbastanza inequivocabile, un'esigenza sempre più condivisa di un allargamento della sensibilità psicologica a confrontarsi con la complessità somato-psichica e psico-somatica, tipologie da noi distinte come due modalità di funzionamento mentale che si presentano nella disregolazione affettiva.

Le condizioni definite somato-psichiche, sono forme caratterizzate da un deficit di strutturazione e organizzazione del Sé e da una difficoltà pressoché totale a costruire rappresentazioni degli stati interni a livello psichico e che possano quindi essere messe in pensabilità psichica e parola. Gli stati affettivi emergono in seduta non-integrati né strutturati, privi nella maggior parte dei casi di contenuti rappresentativi e vissuti come esperienze prevalentemente sensoriali, indistinte, informi e spesso minacciose per l’effetto disorganizzante che portano con sé: un sentimento di sconfinamento affettivo che soffoca la mente, che è la grande assente in queste forme patologiche.

Invece, le condizioni psico-somatiche sono forme caratterizzate da un’organizzazione di un Sé capace di simbolizzazione anche minima, ma al suo interno a seconda della gravità della condizione, una incapacità elaborativa e contenitiva degli stati emozionali che si possono produrre da stimolazioni interne o esterne ad esso. Questo accade per la presenza di rappresentazioni di relazioni oggettuali[1] che non sono in grado di contenere i moti affettivi dell’individuo all’interno della sua mente.  Quindi, per evitare implosioni, i moti affettivi in eccesso di contenimento verranno evacuati nel soma, in agiti comportamentali o in schemi fissi e rigidi di pensiero, che cercheranno di imprigionare le emozioni, in quanto non digeribili, che non produrranno, in questo tipo di “apparato per pensare”, moti creativi con possibilità di cambiamento.

Quindi, nella situazione somato-psichica manca l’integrazione psicosomatica, come descritta da Winnicott (1949, 1981) ovvero la struttura del Sé, mentre nella condizione di funzionamento psico-somatico la struttura è formata ma ha delle rotture o falle al suo interno.

Nel primo caso ci sono delle dissociazioni degli stati emozionali dal Sé (stati Non-Me), mentre nel secondo gli oggetti interni scissi e gli stati emozionali legati ad essi, non possono essere contenuti, seppur sono all’interno del Sé, e quindi vengono evacuati in varie maniere fuori da esso.

Se dovessimo pensare a dei binari che connettono le strutture più profonde implicite limbiche con le strutture o stazioni corticali, possiamo immaginare che nel primo caso i binari non ci sono e vanno costruiti, mentre nel secondo caso i binari ci sono ma sono stati rotti e vanno riparati.

Ponendo che siamo di fronte ad un sintomo di disturbo della regolazione affettiva che si presenta in forma somatica, nella somatizzazione acuta (psico-somatico) il clinico dovrebbe essere in grado di aiutare il paziente a cogliere la relazione tra la propria sofferenza somatica e le circostanze che l’hanno favorita, con un atteggiamento comprensivo/empatico, in senso Kohutiano[2], e rassicurante considerando che il paziente di solito ha paura. Quindi un atteggiamento volto soprattutto all’essere un “Contenitore” affettivo in termini Bioniani[3].

Invece, nella somatizzazione cronica (somato-psichico) o persistente, i pazienti non sono alla ricerca di consigli o rassicurazioni, che spesso rifiutano, non hanno un senso di paura e a volte sembra che non abbiano nemmeno il desiderio di migliorare la loro condizione di salute. Queste persone hanno bisogno di qualcuno che li ascolti, li capisca e sia lì con loro in maniera continuativa e li accetti. Il clinico dovrebbe evitare di mettere in dubbio la realtà dei loro disturbi, accettare l’esistenza di un problema e collaborare ad identificarlo e ad affrontarlo. In questo quadro clinico il terapeuta deve fungere da Oggetto-Sé[4] primario di Kohut e da Holding[5] Winnicottiano.

Un’ultima caratteristica di entrambe le condizioni, anche se si riscontra in maniera più accentuata in quella somato-psichica, è l’assenza o la poca presenza di attività onirica.

In entrambe queste condizioni si riscontra evidente il costrutto di alessitimia, che possiamo suddividere in alessitimia primaria, quindi più accentuata nel somato-psichico, e in alessitimia secondaria, meno pregnante ma pur sempre presente ed invalidante nel funzionamento psico-somatico. Questi due termini sono considerati sotto una diversa accezione rispetto a quella fornita da Sifneos (Agresta, 1995), il quale considerava la forma primaria di alessitimia come prevalentemente neurologica e che non abbisognasse di nessun intervento psicoterapico. Il nostro utilizzo del termine la distingue rispetto all’uso di Sifneos, sia nel senso di non considerare l’alessitimia un disturbo prevalentemente neurologico, sia nel senso della possibilità del suo trattamento a livello psicoterapico, con supporto dell’Arte terapia psicodinamica[6].

Da questo quadro teorico, dall’analisi delle opere di numerosi autori, dalla esperienza clinica, quindi, discende la definizione di queste due tipologie di funzionamento mentale ben distinte, le condizioni somato-psichiche e quelle psico-somatiche.

Inoltre, dallo studio di molteplici autori, come, nel campo delle neuroscienze affettive Pankseep, Kandel, LeDoux, Damasio, Edelman, Schore, Hill, Bottaccioli, la PNEI e altri e, nel campo psicoanalitico Taylor, Bucci, Beebe, Stern, Winnicott, Bion, Kohut, Mancia, Ferro, Imbasciati e ed autori che sono riferimenti dell’arte terapia psicodinamica (vedi sito www.arttherapyit.org), sta emergendo, sempre più, un nostro pensiero e un metodo susseguente ad esso di lavoro, per il trattamento dei disturbi della regolazione affettiva, soprattutto di quelli più gravi. La concezione della mente adottata presuppone una mente che non è sinonimo di coscienza e volontà, essendo per il 95% inconscia, come dicono da tempo in primis la psicoanalisi e poi le neuroscienze. Sorge il problema, quindi, non solo dell’inconscio, ma di quando riusciamo ad essere coscienti ed ancor con maggiore difficoltà consapevoli. Le neuroscienze certificano che la maggior parte degli atti, che noi pensiamo essere dovuti al nostro livello di consapevolezza, siano sempre stati già decisi prima dal nostro cervello inconscio. Da qui nasce l’esigenza di non vedere la mente inconscia come la metafora archeologica freudiana di contenuti nascosti, che cercano di riemergere in superficie con una capacità maggiore o inferiore da parte della coscienza di ributtarli indietro (rimozione)[7], ma avere sempre più accesso a livello consapevole ai nostri processi inconsci (Imbasciati, 2015). Spesso l’inconscio è conscio (ci agisce), ma è inconsapevole. Usando la metafora del mare, l’inconscio è come un mare, dove la nostra consapevolezza è un pescatore che deve attrezzarsi di una barca (la coscienza affettiva) per navigarlo e pescare sempre più pesci (quindi attrezzarsi di una rete o una canna da pesca), che serviranno a nutrire la propria mente. Non pescare significa far cessare di esistere la nostra mente e dissociarsi da sé stessi. È una condizione tutt’altro che rara, anzi molto presente oggigiorno, soprattutto in chi non chiede nessun intervento di cura. La condizione di non “pescare” può essere dovuta al fatto che non abbiamo la rete o canna da pesca (somato-psichico) e quindi bisogna costruirla, o si è rotta la rete o la canna e va riparata (psico-somatico); uno stadio somato-psichico dove vi è un’inesistenza di “Contenitori” e uno psico-somatico dove vi sono “Contenitori negativi” (Bion, 1962). Quindi il nostro intervento serve per dare al paziente un grado di consapevolezza del proprio “patire”, dove quel patire (pathos) è non il solo sentire (esperienza sensoriale) ma significa letteralmente che “io” soffro il dolore e” io” soffro il piacere, una reale soggettivazione della propria emozionalità vissuta, una prima forma di diventare soggetti della propria vita in salute e in malattia (Bion, 1970).  Gli affetti più o meno regolati gestiscono il livello e il grado di consapevolezza, in quest’ottica non apriamo finestre o scaviamo per portare in luce dei contenuti, ma diamo un’apertura di possibilità per vedere i propri sintomi in una veste diversa, un primo stadio di consapevolezza (“peschiamo i primi pesci”) per aderire a nuove possibilità di cura, se la persona le vuole accogliere. Questo presuppone un lavoro intenso dello psicoterapeuta, che lavorerà sui propri stati affettivi che la relazione con il paziente attiva, per poi dare alla fine, sperando che ci si riesca, una restituzione di cosa abbiamo noi osservato e soprattutto “patito” nella relazione con lui/lei (Bion, 1970). Si può osservare la reazione che il paziente mette in atto insieme a noi, se riusciamo a sopportare e fare da contenitore a questi contenuti che vengono fuori (Bion, 1962), senza difenderci e cercando di essere in un atteggiamento quanto mai vicino al “senza memoria e senza desiderio” di Bion (1970)[8]. Questo ci offre, anche in pochi colloqui, un’esatta dimensione di come il paziente gestisce di solito le sue relazioni affettive interpersonali, che spesso contribuiscono in maniera notevole a costruire anche le sofferenze fisiche Quindi, essere capaci di “esserci” con il paziente, di essere empatici e saper poi uscire dalla relazione che si è vissuta e con la quale abbiamo fatto esperienza reale, ci permette di poterla osservare: essere sia il giocatore che gioca con l’altro giocatore (il paziente), sia l’arbitro del gioco in un secondo tempo (Ferro, Civitarese, 2015). Questo è molto difficile e sottintende una buona capacità di Reverie[9] e non va assolutamente improvvisato, come spesso accade.

Quindi, sintetizzando: le condizioni somato-psichiche sono forme di funzionamento caratterizzate da una pervasiva mancanza di strutturazione e organizzazione del Sé e da una difficoltà pressoché totale a costruire rappresentazioni degli stati psichici interni, che non possono essere pensati o verbalizzati. Siamo lontani dall’idea comune della psiche che fa ammalare il corpo, in queste forme il corpo deve sostituire la mente che non è in grado di occuparsi e di elaborare ciò che accade all’interno di sé e sul proprio corpo.

Le condizioni psico-somatiche, invece, sono caratterizzate da una presenza e organizzazione di un Sé strutturato e capace di simbolizzazione, ma al cui interno si trova, più o meno a seconda della gravità dei casi, un’incapacità di elaborazione e di contenimento degli stati affettivi che si possono produrre a seguito di stimolazioni interne o esterne. Per evitare implosioni e al fine di imprigionare le emozioni, i moti affettivi in eccesso di contenimento verranno evacuati nel soma, in agiti comportamentali o in schematismi fissi e rigidità di pensiero. In entrambi i funzionamenti, al contrario di come si pensa di solito, ed anche in termini spesso pensati in alcune teorie di psicosomatica, non vi è un processo in cui la psichicità fa ammalare il corpo, l’organo, ma la problematica consiste esattamente nel contrario, l’aspetto deficitario è proprio il mentale; nel somato-psichico è proprio assente e vi sono tracce informi di esso, mentre nello psico-somatico esso è scisso, rotto ed incapace di essere un contenitore efficiente[10].Quindi il corpo occupa lo spazio dove dovrebbe esserci lo psichico.

Ci troviamo in una fase della ricerca psicoanalitica, e in una evoluzione epistemologica, per cui psiche e materia, mente e corpo, soggettivo e oggettivo sono attualmente meno separabili, se pensiamo per esempio che pensiero e affetto nascono all’interno della realtà (il corpo) e a loro volta producono realtà.Bisogna, quindi, arrendersi all’evidenza che un individuo può essere in grado, se trova una sponda adatta in un altro che sia una particolare sensibilità recettiva-empatica, di produrre “qualcosa” dentro di lui senza l’assenso del “legittimo proprietario” che non ha la possibilità di impedirlo. Capire quali capacità ha il paziente di “digerire” la propria esperienza (Bion, 1962) che fa della realtà esterna e interna e come “usa” l’altro per aiutare a elaborarla è qualcosa di molto utile da conoscere.La sua capacità di regolare gli affetti è orientata al somato-psichico o allo psico-somatico?

Ha una buona capacità di “integrazione” psicosomatica? Le risposte a queste domande possono essere informazioni molto utili, dapprima allo psicologo e poi al medico, o a qualsiasi figura sanitaria e non, che si occupa della cura del mentale, per come relazionarsi al meglio in futuro con il paziente. 

Conoscere la differenza tra queste due condizioni non è solo una questione di maggior chiarezza teorica, ma un’indicazione operativa per la clinica, poiché il trattamento è molto differente nelle due situazioni delineate.

Le condizioni somato-psichiche e psico-somatiche sono due ipotesi diagnostiche sul funzionamento mentale dell’individuo, che ci sia evidenza di disturbi psicosomatici o no, poiché forniscono un’indicazione sul modo in cui quella persona regola il proprio stato emozionale o affettivo.

Vale la pena esplicitare in questa sede il significato dell’utilizzo o meno del trattino nelle due parole, poiché la sua presenza implica anche graficamente la separazione tra i due termini, quindi uno stile di funzionamento che sottende il disturbo e la non integrazione fra soma e psiche con le differenze evidenziate fin qui.

Il trattamento clinico che scaturirà dalle ipotesi diagnostiche avrà come scopo ideale proprio quello dell’eliminazione di quel trattino, migliorando la consapevolezza della capacità di regolazione affettiva e del mezzo più adeguato a esprimere emozioni e stati d’animo.

La regolazione affettiva svolge un ruolo essenziale in tante problematiche e questioni di quotidiano interesse, soprattutto in quelle che leggiamo e ascoltiamo spesso sui media (compreso la pandemia da Covid-19).  Essa svolge parti decisive in questioni: sociali, politiche, educative, economiche, sanitarie, lavorative, scolastiche, giudiziarie ecc. ecc. Questo permette di poter affermare di quanto sia decisivo in un paese civile l’intensificarsi di un’educazione e di un’informazione, seria e competente, sulle questioni affettive, attraverso i media, le scuole e quant’altro.

Il Centro studi e ricerche sulla terapia dei disturbi della regolazione affettiva, attivo nel territorio romagnolo dal 2012, di cui il sottoscritto è il fondatore e il tuttora coordinatore, pone questi temi al centro delle proprie ricerche in campo medico, psicoterapeutico e sociale; questo ha delineato lo sviluppo del discorso clinico-teorico, che si è prodotto in questi anni attraverso lo studio intensivo dell’affettività e della sua complessa regolazione.

Per ulteriori informazioni www.esserecon.it

Riferimenti Bibliografici:

Agresta F, Interviste a Psicoterapeuti, Samizdat, Pescara, 1995

Bion, W.R. (1962), Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma,1972

Bion, W.R. (1970), Attenzione e interpretazione: una prospettiva scientifica sulla psicoanalisi e sui gruppi, Armando, Roma,1973, 1982

Ferro A., Civitarese G., Il campo analitico e le sue trasformazioni, Raffaello Cortina, Milano, 2015

Imbasciati A., Nuove teorie sul funzionamento della mente, Franco Angeli, Milano, 2015

Kohut H. (1977), La guarigione del Sé, Bollati Boringhieri, Torino, 1992

Scognamiglio M., Psicologia Psicosomatica, Franco Angeli, Milano, 2016

Taylor G., Medicina psicosomatica e psicoanalisi contemporanea, Astrolabio, Roma, 1990/1987

Taylor G., I disturbi della regolazione affettiva, Giovanni Fioriti Edizioni, Roma, 1999

Winnicott. D.W. (1949),L’intelletto e il suo rapporto con lo psiche soma, in Dalla pediatria alla psicoanalisi: scritti scelti, Martinelli, Firenze, 1981

Winnicott D.W. (1988), Sulla natura umana, Raffaello Cortina Editore, Milano,1989


[1] Nella teoria psicanalitica si usa il termine relazione oggettuale per indicare i rapporti che il bambino stabilisce nel corso dello sviluppo, con persone o anche con “cose dell'ambiente esterno significative sul piano affettivo. Le rappresentazioni oggettuali sono le memorie di tali relazioni che si sedimentano inconsciamente nella persona.

[2] L’empatia di Kohut (1977) parte dal concetto che se dietro al bambino ci sono delle figure genitoriali comprensive, in grado di dargli delle continue conferme ed essere ammirati sulla bontà delle sue azioni e scoperte, la crescita avviene naturalmente, ed il Sé del bambino viene confermato empaticamente dalla risposta emotiva del genitore; egli può crescere e diventare un po’ più autonomo.

[3] Il «contenimento» di Bion può essere definito come una modalità attraverso cui sono tenute insieme parti o frammenti o anche come un processo attraverso cui prende forma e consistenza qualcosa precedentemente del tutto informe.

[4] La sopravvivenza psicologica del bambino e poi dell’adulto richiede la presenza di oggetti-sé che rispondano empaticamente ai bisogni personali. Gli oggetti-sé si formano dalla relazione con gli altri significativi e sono capaci di strutturare il sé in modo coeso ed integrato.

[5] La parola holding (che deriva dal verbo to hold=tenere) è stata tradotta in italiano con il termine “sostenere” e si riferisce ad una funzione materna primaria necessaria allo sviluppo psichico del bambino. Il suo significato va da un senso strettamente fisico, come tenere in braccio l’infante, all’insieme delle cure ambientali volte a rispondere ai bisogni del bambino (per Winnicott i due significati si sovrappongono).

[6] L’ Arte Terapia, in particolare nella nostra esperienza clinica, viene utilizzata soprattutto nell’area dei disturbi somato-psichici; essa è essenziale al poter trasformare l’informe somato-psichico in un più formato oggetto psico-somatico.

[7] In psicoanalisi, la rimozione è un meccanismo psichico inconscio che allontana dalla consapevolezza del soggetto, nel senso quasi fisico del termine, quei desideri, pensieri o residui mnestici considerati inaccettabili e intollerabili dall'Io, e la cui presenza provocherebbe ansia ed angoscia.

[8] Secondo Bion i terapeuti dovrebbero diventare insaturi, ovvero sufficientemente vuoti per ascoltare il paziente con una mente sgombra, senza proiettare su di lui le cose di lui già note (memoria) e senza aspettarsi che cambi nella direzione che si vorrebbe (desiderio).

[9] Per Bion la reverie consiste in uno stato mentale aperto alla ricezione di tutto ciò che proviene, mediante l'identificazione proiettiva, da un oggetto amato. Con la reverie la madre provvede al bisogno di amore e di comprensione del bambino, così come con il latte provvede al suo nutrimento.

[10] La nozione di contenitore-contenuto non si riferisce a ciò che pensiamo ma al modo in cui pensiamo, vale a dire come elaboriamo l'esperienza vissuta e che cosa accade sul piano psichico quando non riusciamo a compiere un lavoro psicologico con quel vissuto. una certa pressione (l'inconscio dinamico).