Memoria implicita e inconscio precoce non rimosso: Il Sogno necessario - Associazione Essere Con
20 aprile 2017

Memoria implicita e inconscio precoce non rimosso: Il Sogno necessario

Memoria implicita e inconscio precoce non rimosso: Il Sogno necessario

Memoria implicita e inconscio precoce non rimosso: Il Sogno necessario

A cura di Ivano Frattini

Sognare è nella natura umana e ciò significa creare sistemi di simboli che rappresentano il flusso della nostra vita soggettiva. La nostra stessa coscienza, di conseguenza, diventa immensamente più complessa di quanto sarebbe se vivessimo soltanto nell’imminenza non simbolizzata. Nel corso della nostra evoluzione, l’umanità divenne tale quando iniziò a sognare. Sognare è una manifestazione fondamentale della capacità simbolica, ed è questo ciò che definisce in maniera distintiva la natura umana. Ci si potrebbe chiedere se il sogno possa insegnarci il segreto della natura umana. Il fatto che i sogni esistano è la natura umana che rivela se stessa. I sogni sono molto di più dell’espressioni di desideri, come li vedeva Freud, essi possono essere una chiave per comprendere come funziona la nostra coscienza. Essi ci permettono di riconoscere in che modo il nostro cervello produce quello che noi percepiamo come realtà. Quindi i sogni non rimandano solo al passato, ma aiutano a padroneggiare il nostro futuro. Mentre sogniamo le nostre capacità si amplificano e il nostro cervello cambia. Noi impariamo letteralmente mentre sogniamo. La nostra personalità continua sempre a svilupparsi attraverso di essi di notte. I sogni ci mostrano chi siamo e cosa potremmo essere. Il sogno si produce grazie all’attivazione ed alla deattivazione di aree specifiche cerebrali deputate alla memoria (esplicita ed implicita) e al coinvolgimento della corteccia cerebrale nel suo insieme. Il sogno resta comunque un’attività mentale e non un processo fisiologico, anche se è da questo processo che viene scaturito. Il sogno è una rappresentazione pittografica della mente, resa possibile da una specifica organizzazione fisiologica del cervello. E’ un processo di attivazione interna organizzata e non caotica. Il sogno è un evento mentale “obbligato”, denso di significati determinati dalla storia affettiva ed emozionale del soggetto depositata nella sua memoria esplicita ed implicita. Il sogno è quella funzione della mente che crea simboli, trasformando simbolicamente esperienze presimboliche e di creare immagini che colmano il vuoto della non rappresentazione di un inconscio precoce non rimosso, oltre che a riportare alla luce, attraverso il ricordo, esperienze rimosse nell’infanzia (dopo i due anni) e nel corso della vita depositate nella memoria esplicita. La loro interpretazione favorirà il processo ricostruttivo necessario alla psiche per migliorare le proprie capacità di mentalizzare e rendere quindi pensabili, anche se non ricordabili, esperienze all’origine non rappresentabili né pensabile. Nel sonno REM (nello stato del sonno dove i sogni sono più vividi), mentre gli stimoli afferenti e l’attivazione motoria sono molto ridotte, viene altresì stimolata l’attivazione visiva, ed anche l’esperienza somatica e sensoriale dall’interno del corpo è relativamente accessibile. Le immagini attivate soprattutto nel sonno REM sono disponibili per essere connesse agli schemi dissociati che sono stati attivati, fornendo oggetti per sostituire gli oggetti originali allontanati, quindi offrendo significato simbolico a schemi emozionali il cui significato è stato perso o mai decifrato. Le immagini servono come correlati oggettuali per gli stati emotivi, esattamente come accade con le immagini per le forme artistiche. Sarà, a questo punto, utile riportare integralmente pezzi estratti dal lavoro di Mancia (2003) in cui si nota come il lavoro sulla memoria implicita e sui sogni sia fondamentale per la cura dei soggetti con disturbi gravi della regolazione affettiva:

[caption id="attachment_1559" align="alignnone" width="242"] Mancia Mauro[/caption]

“La ricerca neuroscientifica ha dimostrato che nel nostro cervello operano due sistemi della memoria con caratteristiche anatomo-funzionali differenti. Un sistema riguarda la memoria esplicita o dichiarativa e un altro la memoria implicita o non-dichiarativa. La prima può essere evocata coscientemente e verbalizzata. Essa riguarda la propria autobiografia relativamente a specifici eventi e permette di dare un senso al ricordo delle esperienze della propria vita. La memoria esplicita, dunque, permette attraverso il ricordo un processo ricostruttivo della propria storia personale e partecipa alla formazione della propria identità. Essa necessita della integrità dell’ippocampo bilaterale, del lobo temporale mediale e delle aree frontali basali. In particolare l’ippocampo è la struttura chiave della memoria esplicita in quanto seleziona e codifica le informazioni che verranno archiviate nella corteccia associativa. La memoria implicita non è cosciente né verbalizzabile. Essa presenta varie dimensioni: a) il priming, inteso come capacità di un soggetto di scegliere un oggetto cui è stato precedente esposto in modo subliminale; b) la memoria procedurale che riguarda l’apprendimento senso-motorio, come camminare, andare in bicicletta, suonare strumenti, ecc.; c) la memoria emozionale ed affettiva che si riferisce alle esperienze emozionali e affettive più significative che il bambino vive nelle sue prime relazioni con la madre e l’ambiente in cui cresce. La memoria implicita è dunque essenzialmente emozionale. I suoi circuiti anatomo-funzionali sono rappresentati dall’amigdala, nuclei della base, cervelletto e aree temporo-parieto-occipitali dell’emisfero destro. Le esperienze emozionali possono interessare anche il feto negli ultimi periodi gestazionali. Il feto, infatti, riceve stimoli ritmici e costanti come il battito cardiaco materno e il ritmo respiratorio. Inoltre, egli percepisce la voce materna come strumento esterno a sé, capace di veicolare con la sua intonazione e il suo ritmo affetti ed emozioni. Tali esperienze possono essere memorizzate dal feto e così la voce materna che, riattivata durante l’allattamento, può influenzare la frequenza cardiaca e il tasso di suzione del neonato. Oltre alla voce, il neonato è molto sensibile al linguaggio della madre e di chi si prende cura di lui, alla sua struttura e ai suoi tempi, dalle epoche più precoci del suo sviluppo. Le esperienze mentali potranno essere positive ed essenziali per la crescita mentale e fisica del bambino, ma potranno essere anche traumatiche: negligenze, inadeguatezza dei genitori, loro patologie mentali, violenze fisiche e psicologiche, abusi anche sessuali, frustrazioni, delusioni, che producono nel neonato difese che si depositeranno nella memoria implicita e parteciperanno alla formazione di un nucleo inconscio precoce del Sé non rimosso. Le esperienze neonatali precoci depositate nella memoria implicita non possono essere rimosse poiché la rimozione presuppone il ricordo che può avvenire solo in rapporto alla memoria esplicita la cui organizzazione non è matura prima dei due anni di vita. La ricerca neuroscientifica ha dimostrato infatti che l’amigdala, che organizza la memoria implicita, è già matura precocemente e funziona a partire dagli ultimi tempi gestazionali. Per contro l’ippocampo, indispensabile alla memoria esplicita, matura dopo il secondo anno di vita. Pertanto tutte le esperienze traumatiche depositate nella memoria implicita di natura essenzialmente emozionale organizzano un inconscio che non può andare incontro a rimozione e che ho definito come “inconscio precoce non rimosso”. Poiché i due sistemi della memoria descritti si organizzano sequenzialmente nel tempo ontogenetico, possiamo ipotizzare che nella nostra mente operino due sistemi inconsci che si organizzano in periodi differenti dello sviluppo. Possiamo, su questa base, anche avanzare un’ipotesi sulla organizzazione anatomo-funzionale dell’inconscio rimosso e non rimosso. Il primo può formarsi attraverso la rimozione che comporta un processo attivo che coinvolge il sistema della memoria esplicita (ippocampo, corteccia temporale mediale e orbito-frontale). Il secondo sarà prodotto dal depositarsi delle esperienze emozionali e affettive più precoci nel sistema della memoria implicita (amigdala, gangli della base, cervelletto, corteccia temporo-parieto-occipitale dell’emisfero destro). L’inconscio non rimosso fondato sulle emozioni e sulle esperienze depositate nella memoria implicita si organizza precocemente già nei primi periodi della vita rispetto all’inconscio rimosso che può operare dopo il secondo anno di vita. Nello sviluppo, l’inconscio precoce non rimosso avrà un suo effetto condizionante il processo di rimozione successivo, così come l’inconscio rimosso, una volta formato, potrà condizionare le esperienze non rimosse. Dobbiamo infatti pensare che la memoria, sia esplicita che implicita, vada incontro a un processo continuo di ricategorizzazione tale da facilitare anche l’influenza reciproca delle due forme di memoria. È quanto può accadere anche all’inconscio (rimosso e non rimosso) nel corso del processo analitico. La scoperta della memoria implicita e il suo legame con l’inconscio non rimosso costringe ora l’analista ad un’attenzione particolare e in parte diversa dal passato ad alcuni elementi che caratterizzano il transfert e ad alcuni aspetti del sogno. Il transfert, oltre che nella sua componente narrativa che permette una metaforizzazione dei contenuti, va colto nelle sue componenti extraverbale ed infra-verbale. Con la prima, intendo il comportamento generale del paziente e soprattutto il suo controllo posturale e motorio, che rimanda ad esperienze precoci relative alla dimensione procedurale della memoria implicita, poi l’espressione del viso, il suo abbigliamento, il suo modo di presentarsi nella relazione. La dimensione infraverbale riguarda il modo con cui il paziente comunica, le funzioni “significanti” del suo linguaggio (Saussure 1916-1922) e l’intonazione della sua voce in quanto mezzo con il quale le parole creano suoni che veicolano affetti ed emozioni. La voce, infatti, è un’esperienza di sé che si realizza nel parlare, ma è anche una espressione di sé nella relazione con l’altro. Essa costituisce una “corrente transferale” fortemente associata alla voce materna. A questi elementi della comunicazione si uniscono l’intonazione, il ritmo, il volume, la musicalità dell’intera sequenza sintagmatica insieme alla sintassi e ai tempi del linguaggio. Tutto ciò costituisce quello che ho definito come la “dimensione musicale del transfert”. Tale dimensione musicale si riferisce ad un’idea della musica come linguaggio sui generis la cui struttura simbolica è isomorfica a quella del nostro mondo inconscio emozionale e affettivo. Tale linguaggio costituisce la metafora transferale delle esperienze precoci affettive ed emozionali che il bambino ha vissuto con la madre e che ha caratterizzato il modello implicito della sua mente. Tale modello ha le sue radici nel tono affettivo ed emozionale della voce e del linguaggio materno che il bambino apprende molto prima del significato simbolico. La voce materna è vista come un’area metaforica di scambio attraverso la quale avvengono processi primitivi di proiezione e introiezione. Analogamente, nella relazione analitica, l’analizzando e l’analista usano la loro voce e la struttura del loro linguaggio per comunicare i propri affetti ed emozioni e per facilitare oppure ostacolare il reciproco investimento affettivo. La stessa componente semantica della parola dell’analizzando è influenzata dal significato emozionale della sua storia inconscia precoce che si basa sulla intonazione della parola appresa. Tale dimensione fa parte dell’inconscio non rimosso in quanto collegata alle prime esperienze fetali e neonatali con la madre e l’ambiente in cui cresce, che sono depositate nella sua memoria implicita. La dimensione musicale descritta permette alle emozioni di essere scisse e identificate proiettivamente nell’analista e quindi in grado di pungere la sua pelle controtransferale molto più di qualsiasi contenuto della narrazione. Un’attenzione particolare dovrà essere dedicata anche alla voce e alla struttura del linguaggio dell’analista che, nel comunicare con il proprio analizzando, può veicolare emozioni che riguardano parti del Sé inconsce non rimosse che possono condizionare il senso della sua stessa interpretazione. Il sogno costituisce una rappresentazione privilegiata per cogliere le fantasie e le emozioni collegate alle prime esperienze preverbali e pre-simboliche che caratterizzano il modello implicito della mente del paziente. Oltre ad essere un sipario aperto sul transfert e un rivelatore di dinamiche intrapsichiche e intersoggettive specifiche, il sogno va visto oggi come la funzione della mente capace di rendere simboliche esperienze pre-simboliche e preverbali. Ciò permette la pensabilità e la verbalizzazione di esperienze precoci mai verbalizzate né pensate. Le immagini inoltre che il sogno produce colmano il vuoto della non rappresentazione che caratterizza l’inconscio non rimosso. Gli stessi personaggi del sogno che possono riferirsi ad epoche molto precoci dello sviluppo possono permettere all’analizzando di rivivere emozionalmente attraverso una identificazione con essi le esperienze più precoci mai conosciute e mai realmente vissute. Questo processo permette una ricostruzione emozionale della storia dell’analizzando a partire dalle epoche più precoci dello sviluppo della sua mente. Nel sogno naturalmente tutto l’inconscio si manifesta ed è il luogo dove l’inconscio rimosso e non rimosso possono influenzarsi reciprocamente ed insieme partecipare alla ricostruzione quale momento terapeutico dell’incontro analitico. Queste riflessioni sull’inconscio e la sua storia sono tese a definire la complessità della funzione inconscia della mente, le vicissitudini cui è andata incontro in questi cento anni dalla prima formulazione freudiana, e suggerire la possibilità di un adattamento della tecnica analitica alle nuove scoperte relative all’inconscio (non-rimosso e rimosso) che l’analisi deve poter trasformare in un processo cosciente. A questo riguardo, il mio punto di vista si differenzia da quello di Gabbard, Westen (2003) e dalle teorizzazioni del gruppo di Boston (Stern et al., 1998; Lyons-Ruth et al., 1998) che sottolineano l’importanza, ai fini terapeutici e trasformativi, della sola costruzione nell’hic et nunc della seduta. Pur non negando il valore della costruzione, che anzi considero preparatoria ad un lavoro più approfondito con il paziente, penso che la funzione trasformativa e terapeutica dell’analisi sia essenzialmente fondata sulla ricostruzione della storia affettiva ed emozionale dell’analizzando a partire dalle epoche più precoci del suo sviluppo caratterizzate dall’inconscio non rimosso."

Il sogno per Bion

La capacità che abbiamo tutti noi, per Civitarese (2014), in misura maggiore o minore di sognare fa di tutti noi dei poeti. La capacità di comporre questa “poesia” del reale, che Bion chiama reverie materna e Winnicott “preoccupazione materna primaria”, aiuta la nascita psicologica, e da sale alla nostra esistenza. Istituisce la “collusione psico-somatica” su cui basiamo la naturalezza dei nostri vissuti corporei. L’attività del sognare è continua per Bion, giorno e notte, e crea una continuità del lavoro della mente. Similmente al sogno protegge il sonno dalla realtà esterna, permettendo l’elaborazione e la trasformazione delle esperienze emotive, esso protegge il materiale inconscio, impedendogli di penetrare la coscienza nella veglia, consentendoci di andare avanti senza essere consapevoli di tutti gli stimoli esterni ed interni. Sognare è il modo in cui diamo un significato personale all’esperienza ed espandiamo l’inconscio: ciò è necessario non tanto per decifrare le immagini del sogno. Viene dato risalto e valorizzata la funzione di creazione simbolica per sviluppare una competenza narrativa e, data la prossimità al nucleo del corpo ed emotivo dell’individuo nel qui e ora, per creare attraverso la continua elaborazione del flusso delle emozioni, una connessione corpo-mente. In ogni scena relazionale le più banali tipo due amiche che parlano della vacanze e di qualcos’altro di piacevole, avvengono processi inconsci sofisticati. Nella loro mente questi processi trasformano continuamente l’esperienza in atto in immagine ed in questo la rendono assimilabile. Questa è la funzione alfa di Bion. Esso trasforma il non mentale, de-concretizza o de-sensibilizza il reale, e converte in tracce mnestiche o qualità psichiche i dati bruti (elementi beta) o im-pressioni (non assimilate). Si tratta di una specie di pre-digestione di protoemozioni e proto-sensazioni, come quella che si effettua già nella bocca prima della digestione. Insomma la funzione alfa è qualcosa a metà tra una traccia vuota di senso ed una prima forma narrativa. Per avere un’idea di questo “qualcosa tra” si potrebbe pensare all’effetto di estraniamento che si produce quando si pronuncia più volte una stessa parola ad alta voce. Per Bion ci dice Civitarese (2014) la funzione alfa emerge dal corpo, e va distinta dal sognare e dal pensare. Fornisce solo i mattoncini come i Lego per il sogno e per il pensiero. Il sogno è la via regia non dell’inconscio ma della realtà. Per Bion le immagini del sogno quindi non sono da decifrare (come nei sogni degli stati del Sé di Kohut), bensì sono già il prodotto più o meno riuscito dell’operatività simbolico-poietica dell’individuo. Se nel sogno di un bambino appare un orco, dice Civitarese (2014) al posto del padre, non si pensi tanto al lavoro di mascheramento, ma a quello creativo, nel senso di legare e trasformare le emozioni, di cui si incarica la metafora/condensazione onirica. Meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sul senso che l’immagine apporta in più, e da lì eventualmente ripartire proponendo, come nel gioco dello scarabocchio, un’altra forma simbolica o altri sviluppi narrativi. Non più traduzioni sature da orco a papà ma la trasfigurazione poetica e insatura da papà ad orco. Più che nascondere il sogno svela ed apre alle molteplicità dei punti di vista e delle interpretazioni. A partire da Bion, quindi, il sogno, fino a lui non vi è dato sogno senza sonno, diventa il frutto di un processo sempre funzionale sempre attivo, sia nel sonno che nella veglia. Durante il sonno, il sogno approfitta della sospensione della coscienza; grazie alla fisiologica anestesia del sonno, l’attività onirica rende possibili quelle esperienze emotive che non potrebbero raggiungere(in quanto inaffrontabili per il troppo dolore, gravità, calore, stati emozionali troppo traumatici ed intensi,) lo stato di veglia e di consapevolezza. Durante il sogno, la cosiddetta funzione alfa può invece iniziare a convertire i grumi emotivi di cui sopra in piccole unità, raffigurabili, narrabili e dunque ulteriormente elaborabili. Così facendo il sogno diventa anche il prerequisito alla strutturazione della memoria, consentendo trasformazione ed immagazzinamento degli elementi percettivi dello stato di veglia e dei loro correlati emozionali. In ultimo come il pensiero rimanda al sogno così il sogno fornisce la base per la strutturazione del pensiero, in un gioco di rimandi e di reciprocità fra i due. Dai pittogrammi affettivi, pertanto, si sviluppano per Ferro (2007) i derivati narrativi. Ciò che è importante è considerare che la formazione di pittogrammi emotivi è continua (e forma il pensiero onirico della veglia) e che i "derivati narrativi" possono essere diversissimi a patto che siano compatibili con la sequenza di elementi alfa. Da ciò derivano due conseguenze importanti che "le libere associazioni" sono in realtà "associazioni obbligate" nel senso che derivano istante per istante dai fotogrammi visivi (o pittogrammi emotivi) che continuamente la funzione alfa genera dando vita al "pensiero onirico della veglia", mentre sono assolutamente libere per quanto riguarda "il genere narrativo scelto" che può andare a "pescare " in una infinità di generi espressivi (film, ricordi di infanzia, aneddoti, diario intimo, ecc.). I "generi letterari" sono dunque infiniti, è obbligatoria la coerenza tra ciascuno di essi e la sequenza di elementi alfa del pensiero onirico della veglia cui permettono espressività. Anche il sogno narrato in seduta può essere – quasi paradossalmente – considerato come un "derivato narrativo" (una libera associazione obbligata) rispetto al momento in cui il sogno viene narrato: cioè come qualcosa che dà espressività al pensiero onirico della veglia che si è formato in quel momento. Per Ogden (2009) “Sognare è la forma più libera, più inclusiva e più profondamente penetrante di lavoro psicologico di cui sono capaci gli essere umani”. Bion, dice Ogden, rivede completamente il modo di vedere il sogno di Freud. Per Freud lo scopo del sognare e del processo analitico era quello di rendere cosciente l’inconscio. Per Bion, invece, è quello di rendere cosciente l’inconscio, cioè rendere l’esperienza vissuta cosciente disponibile per il lavoro inconscio del sogno. Il lavoro del sogno è il lavoro psicologico attraverso cui creiamo significato personale simbolico, divenendo con ciò noi stessi. Noi sogniamo noi stessi in esistenza. In assenza del sognare noi non riusciamo a creare significato che risulti personale per noi. In questo stato psicologico “non si può andare a dormire e non ci si può svegliare” (Bion, 1962). Inoltre per Bion sognare è l’attività psicologica mediante la quale noi acquisiamo consapevolezza. Sognare “crea una barriera contro fenomeni mentali (inconsci) che potrebbero sopraffare la consapevolezza del paziente..” (Bion, 1962). Il sognare non è il prodotto della differenziazione della mente cosciente e inconscia; è il sognare che crea e mantiene questa differenziazione e, così facendo, genera consapevolezza umana. Questo discorso sul sogno potrebbe essere provato dai tanti esperimenti di deprivazione del sonno fatti, dove si perdevano i riferimenti consapevoli soliti e si potevano avere anche allucinazione. Comunque questo discorso presuppone una importante differenziazione fra la coscienza è la consapevolezza o autocoscienza. I processi coscienti sono esperienze continue, possiamo paradossalmente dire che sono inconsce, ma la consapevolezza significa non solo essere nell’esperienza, ma pensare e riflettere sull’esistenza, ed è proprio questo passaggio dalla coscienza esperienziale alla consapevolezza espressiva, che è favorita dalla funzione alfa di Bion, ovvero la capacità di sognare nella veglia e nel stato di sonno.

Possiamo concludere che i due inconsci, il rimosso e il non rimosso, hanno quindi due funzioni ben precise. L’inconscio non rimosso all’elaborazione e trasformazione dei segnali emotigeni in immagini ( si tratta di una simbolizzazione non verbale, secondo la teoria del codice multiplo della Bucci, e della Funzione Alfa di Bion), l’inconscio rimosso alla trasformazione simbolico-verbale dei contenuti provenienti dall’inconscio non rimosso (elementi beta di Bion) oltre che all’attuazione della rimozione.

La Psicologia del Sé e i sogni

Kohut chiama “Sogni che rappresentano uno stato del Sé “ la maggior parte dei sogni. Kohut li considera tentativi di contenere tensioni incontrollabili che minacciano l’integrità del Sé. Descrive questi sogni con una funzione specifica quella di rendere esprimibili a parole processi psicologici che ne sono privi. Ovvero il fatto che l’esperienza di frammentazione abbia una rappresentazione visiva nel sogno favorisce il processo reintegrativo. In termini di Psicologia del Sé, Kohut (1977) ipotizza che quando il Sé è minacciato da uno stato di frammentazione o di dissoluzione, la funzione del sogno è quella di ripristinare il Sé; sono i sogni che egli chiama “sogni sullo stato del Sé” (self-state dreams). In queste formulazioni è implicito un funzionamento cognitivo elevato, mentre va diminuendo l’accento sulla presenza di operazioni difensive. Per Fosshage, noto psicoanalista della Psicologia del Sé, «la funzione sovraordinata dei sogni consiste nello sviluppo, mantenimento (regolazione) e, se necessario, riparazione dei processi psichici… e dell’organizzazione [psicologica]» (Fosshage,1983). L’attività mentale durante il sogno, così come durante la veglia, ha funzione organizzatrice e va da una cognizione elementare – come, ad esempio, il rivivere momentaneamente un avvenimento – a forme altamente complesse, come lo sforzo di risolvere complicati problemi emotivi o intellettuali. L’attività mentale durante il sogno, così come durante la veglia, elabora le informazioni e contribuisce allo «sviluppo dell’organizzazione psicologica attraverso il consolidamento della rappresentazione di nuove configurazioni psichiche emergenti» (Fosshage,1983). Si acquisiscono nuove prospettive percettive e si elaborano le immagini di nuovi comportamenti, contribuendo così allo sviluppo. Ne emergono nuove rappresentazioni oggettuali (o schemi) e nuovi scenari relazionali. L’attività mentale durante il sogno, inoltre, può proseguire gli sforzi consci o inconsci della veglia per risolvere conflitti, ripristinando uno stato precedente, utilizzando processi difensivi o creando una nuova organizzazione.