Memoria implicita e inconscio precoce non rimosso:  Il Sogno necessario alla Regolazione affettiva. - Associazione Essere Con
05 ottobre 2019

Memoria implicita e inconscio precoce non rimosso: Il Sogno necessario alla Regolazione affettiva.

Memoria implicita e inconscio precoce non rimosso:  Il Sogno necessario alla Regolazione affettiva.

Memoria implicita e inconscio precoce non rimosso: Il Sogno necessario alla Regolazione affettiva.

A cura di Ivano Frattini

 Damasio (2010) sottolinea l’interazione continua e bidirezionale tra inconscio e conscio, tra aree corticali e sottocorticali. Durante il processo percettivo, il dominio esplicito che porta alla formazione di mappe esplicite riguardanti persone, oggetti ed eventi, e in seguito le riorganizza durante il richiamo mnestico (memoria esplicita). L’altro dominio contiene disposizioni-Immagini potenzialmente rilevanti- più che mappe neurali a tutti gli effetti. Si tratta della sfera implicita della mente (memoria implicita), in cui viene stabilito se e come le mappe verranno riorganizzate, e in cui si dà origine alle esperienze coscienti. Damasio considera queste funzioni cerebrali come il riflesso di diverse fasi evolutive. La vasta area disposizionale inconscia (sottocorticale) costituisce una guida efficace per i pattern ripetitivi e i comportamenti appresi . Poiché lo spazio mentale è limitato, in ogni dato momento è possibile accedere solo ad un ridotto numero di immagini. Per gestire l’enorme numero di immagini conservate al di fuori della consapevolezza, è stata sviluppata una strategia di tipo bottom-up per gestirla in maniera automatica. E’ molto probabile per Damasio che tale strategia si sia consolidata prima della coscienza. In questo schema arcaico, le immagini selezionate per accedere alla consapevolezza erano quelle più valide per la sopravvivenza e per ciò che Damasio chiama la “gestione dei processi vitali”. In seguito la coscienza si è sviluppata molto probabilmente per una dimensione aggiunta di efficacia. Come vedremo ritroveremo l’importanza delle immagini come formazione del pensiero e della attività onirica in Bion. L’importanza delle immagini l’abbiamo già incontrata nella descrizione del sistema simbolico non verbale della Bucci (vedi cap. sulla Bucci). La via regia per arrivare a conoscere i sistemi impliciti di memoria come vedremo di seguito è: il Sogno. Secondo Tononi (2011) dal libro –La coscienza non è un privilegio esclusivo della veglia. Infatti, nel buio della notte, la fiamma della coscienza si può riaccendere in un cervello che è completamente sconnesso dal mondo esterno. In sogno vediamo forme, colori e movimento, esattamente come nella veglia Abbiamo sicuramente meno senso critico e tendiamo ad accettare senza fare una piega, molte cose strane, ma abbiamo cinque sensi- tranne forse l’olfatto- esattamente come in veglia. La differenza fondamentale e stupefacente, è che durante il sogno il cervello fa tutto da solo, vede senza retina e cammina senza gambe, disconnesso da nervi e muscoli. Così il sogno, tradizionalmente considerato aleatorio ed incerto come oggetto scientifico, ci impartisce una lezione scientifica di fondamentale importanza: la coscienza per essere riprodotta hic et nunc non ha bisogno dell’interazione con il mondo esterno, è un prodotto del cervello”. Sognare è nella natura umana e ciò significa creare sistemi di simboli che rappresentano il flusso della nostra vita soggettiva. La nostra stessa coscienza, di conseguenza, diventa immensamente più complessa di quanto sarebbe se vivessimo soltanto nell’imminenza non simbolizzata. Nel corso della nostra evoluzione, l’umanità divenne tale quando iniziò a sognare. Sognare è una manifestazione fondamentale della capacità simbolica, ed è questo ciò che definisce in maniera distintiva la natura umana. Ci si potrebbe chiedere se il sogno possa insegnarci il segreto della natura umana. Il fatto che i sogni esistano è la natura umana che rivela se stessa. Come è noto, il sogno ha interessato la Psicoanalisi prima di qualsiasi altra disciplina scientifica, ma è con la scoperta del sonno REM che le porte del sogno si sono aperte alle Neuroscienze. I contributi della Neurofisiologia sono stati tesi soprattutto a riconoscere i meccanismi del sonno e le strutture coinvolte, le sue fasi, le caratteristiche neurofisiologiche che le qualificano. È stata la Psicofisiologia ad interessarsi agli stati mentali che compaiono nelle diverse fasi del sonno. Queste ricerche hanno proposto un modello dicotomico del sonno (REM e non-REM) che attribuiva al solo sonno REM le caratteristiche di “cornice biologica” all’interno della quale il sogno poteva formarsi. Tra gli studiosi che più si sono impegnati in questa aerea di ricerca ricordiamo Solms (2017), secondo il quale il sogno avviene significativamente anche fuori delle fasi REM, nascendo da un’attivazione soprattutto dei nuclei del tronco encefalico (in particolare nell’area tegmentale ventrale). In quest’ottica il sogno è considerato da Solms come vicino ai meccanismi psicotici della mente. I diversi approcci neuroscientifici al sogno non ci dicono comunque nulla sul suo significato, né sul suo ruolo nell’ economia della mente. La Psicoanalisi è la sola disciplina ad interessarsi al sogno come rivelatore dell’inconscio, come funzione della mente in grado di trasformare simbolicamente esperienze pre-simboliche e di creare immagini che, oltre a riportare alla luce, attraverso il ricordo, esperienze rimosse nell’infanzia (dopo i due anni) e nel corso della vita depositate nella memoria esplicita, possono talvolta colmare il vuoto della non rappresentazione di un inconscio precoce non rimosso. sogno è parte fondamentale, sia quella di reintegrare le capacità della mente di affrontare la vita di relazione e quella intrapsichica, elaborando i contenuti che, durante la veglia, sono stati introiettati. In quest’ottica il sogno sarebbe la rappresentazione di una comunicazione intrapsichica tra i diversi livelli mentali, un segnale cioè del lavoro elaborativo onirico. Questo avrebbe, tra l’altro, il compito di “disintossicare” i livelli mentali dall’eccesso di percezioni ed invasioni subite durante la giornata, operando una ristrutturazione di un equilibrio alterato. Contemporaneamente la mente, durante quest’attività onirica, assimilerebbe alcuni elementi dell’esperienza diurna, integrandoli nei livelli più profondi. Tramite questo lavorio notturno, il processo di crescita e riorganizzazione psichica verrebbe incrementato e la mente si disporrebbe quindi per riattivare le proprie attività tipiche del periodo di veglia. È chiaro che durante il lavoro onirico le percezioni esterocettive debbono diminuire a favore di quelle propriocettive ed inconsce. Di quest’attività continua il sogno sarebbe solo una rappresentazione parziale, in particolare quella frazione che viene ad interagire con la coscienza, attraverso l’uso di un linguaggio simbolico (figurativo con componenti talvolta anche verbali). Il fatto che un sogno venga poi anche ricordato fa pensare che, in alcuni casi, ci sia qualcosa i più di una semplice informazione della situazione profonda (o dell’emergere camuffato di un desiderio istintuale rimosso), ma anche una mescolanza tra i livelli profondi – che si sono riorganizzati – e quelli della coscienza rivolti al mondo interno. Se la situazione profonda non viene sanata nel lavoro onirico, il sogno tende a trasformarsi in un incubo che porta l’individuo a svegliarsi, a richiamare cioè l’intervento della coscienza che lo allontana da quello stato di contatto coi livelli profondi, che vengono recepiti come troppo pericolosi per l’equilibrio mentale del momento. Circa il rapporto tra il pensiero e l’attività onirica, Pontalis (1985) ha rilevato come il sognare potrebbe essere la fonte stessa del pensiero. Per accettare questa ipotesi dobbiamo però considerare che identità di pensiero e identità di percezione non si escludano reciprocamente, senza quindi chiudere la frontiera tra processi primari e processi secondari, uscendo dalla credenza di non far altro che sognare quando si sogna e di pensare quando si pensa. In quest’ottica nei nostri sogni esisterebbe invece una modalità di percezione non cosciente che sarebbe all’origine della nostra percezione vigile, che è invece legata al linguaggio. Il neurobiologo di Harvard Varela (1991) a questo proposito descrive il sogno come un’attività cognitiva fondamentale: quella dimensione in cui gli esseri umani possono intraprendere una rappresentazione immaginaria, provare scenari diversi ed escogitare nuove possibilità; si tratterebbe di uno spazio innovativo in cui possono manifestarsi nuovi schemi e nuove soluzioni, un’attività psichica dove qualsiasi esperienza può essere rielaborata. Il sonno in quest’ottica ci fornisce uno spazio in cui non dobbiamo far fronte all’immediato e dove possiamo invece reinventare, rielaborare e ripensare, al fine di maturare nuove opzioni.

I sogni sono molto di più dell’espressioni di desideri, come li vedeva Freud, essi possono essere una chiave per comprendere come funziona la nostra coscienza. Essi ci permettono di riconoscere in che modo il nostro cervello produce quello che noi percepiamo come realtà. Quindi i sogni non rimandano solo al passato, ma aiutano a padroneggiare il nostro futuro. Mentre sogniamo le nostre capacità si amplificano e il nostro cervello cambia. Noi impariamo letteralmente mentre sogniamo. La nostra personalità continua sempre a svilupparsi attraverso di essi di notte. I sogni ci mostrano chi siamo e cosa potremmo essere. Il sogno si produce grazie all’attivazione ed alla deattivazione di aree specifiche cerebrali deputate alla memoria (esplicita ed implicita) e al coinvolgimento della corteccia cerebrale nel suo insieme. Il sogno resta comunque un’attività mentale e non un processo fisiologico, anche se è da questo processo che viene scaturito. Il sogno è una rappresentazione pittografica della mente, resa possibile da una specifica organizzazione fisiologica del cervello. E’ un processo di attivazione interna organizzata e non caotica. Il sogno è un evento mentale “obbligato”, denso di significati determinati dalla storia affettiva ed emozionale del soggetto depositata nella sua memoria esplicita ed implicita. Il sogno è quella funzione della mente che crea simboli, trasformando simbolicamente esperienze presimboliche e di creare immagini che colmano il vuoto della non rappresentazione di un inconscio precoce non rimosso, oltre che a riportare alla luce, attraverso il ricordo, esperienze rimosse nell’infanzia (dopo i due anni) e nel corso della vita depositate nella memoria esplicita. La loro interpretazione favorirà il processo ricostruttivo necessario alla psiche per migliorare le proprie capacità di mentalizzare e rendere quindi pensabili, anche se non ricordabili, esperienze all’origine non rappresentabili né pensabile. Nel sonno REM (nello stato del sonno dove i sogni sono più vividi), mentre gli stimoli afferenti e l’attivazione motoria sono molto ridotte, viene altresì stimolata l’attivazione visiva, ed anche l’esperienza somatica e sensoriale dall’interno del corpo è relativamente accessibile. Le immagini attivate soprattutto nel sonno REM sono disponibili per essere connesse agli schemi dissociati che sono stati attivati, fornendo oggetti per sostituire gli oggetti originali allontanati, quindi offrendo significato simbolico a schemi emozionali il cui significato è stato perso o mai decifrato. Le immagini servono come correlati oggettuali per gli stati emotivi, esattamente come accade con le immagini per le forme artistiche.

L’inconscio non rimosso e il sogno:  Il pensiero di Mauro Mancia.

A questo punto, sarà necessario analizzare alcuni punti sul sogno e sulla memoria implicita (inconscio non rimosso) dal lavoro di Mancia (2003) in cui si nota come il lavoro sulla memoria implicita e sui sogni sia fondamentale per la cura dei soggetti con disturbi gravi della regolazione affettiva: “La ricerca neuroscientifica ha dimostrato che nel nostro cervello operano due sistemi della memoria con caratteristiche anatomo-funzionali differenti. Un sistema riguarda la memoria esplicita o dichiarativa e un altro la memoria implicita o non-dichiarativa. La prima può essere evocata coscientemente e verbalizzata. Essa riguarda la propria autobiografia relativamente a specifici eventi e permette di dare un senso al ricordo delle esperienze della propria vita. La memoria esplicita, dunque, permette attraverso il ricordo un processo ricostruttivo della propria storia personale e partecipa alla formazione della propria identità. Essa necessita della integrità dell’ippocampo bilaterale, del lobo temporale mediale e delle aree frontali basali. In particolare l’ippocampo è la struttura chiave della memoria esplicita in quanto seleziona e codifica le informazioni che verranno archiviate nella corteccia associativa.” La memoria implicita non è cosciente né verbalizzabile. Essa presenta varie dimensioni: a) il priming, inteso come capacità di un soggetto di scegliere un oggetto cui è stato precedente esposto in modo subliminale; b) la memoria procedurale che riguarda l’apprendimento senso-motorio, come camminare, andare in bicicletta, suonare strumenti, ecc.; c) la memoria emozionale ed affettiva che si riferisce alle esperienze emozionali e affettive più significative che il bambino vive nelle sue prime relazioni con la madre e l’ambiente in cui cresce. La memoria implicita è dunque essenzialmente emozionale. I suoi circuiti anatomo-funzionali sono rappresentati dall’amigdala, nuclei della base, cervelletto e aree temporo-parieto-occipitali dell’emisfero destro. Le esperienze emozionali possono interessare anche il feto negli ultimi periodi gestazionali. Il feto, infatti, riceve stimoli ritmici e costanti come il battito cardiaco materno e il ritmo respiratorio. Inoltre, egli percepisce la voce materna come strumento esterno a sé, capace di veicolare con la sua intonazione e il suo ritmo affetti ed emozioni. Tali esperienze possono essere memorizzate dal feto e così la voce materna che, riattivata durante l’allattamento, può influenzare la frequenza cardiaca e il tasso di suzione del neonato. Oltre alla voce, il neonato è molto sensibile al linguaggio della madre e di chi si prende cura di lui, alla sua struttura e ai suoi tempi, dalle epoche più precoci del suo sviluppo. Le esperienze mentali potranno essere positive ed essenziali per la crescita mentale e fisica del bambino, ma potranno essere anche traumatiche: negligenze, inadeguatezza dei genitori, loro patologie mentali, violenze fisiche e psicologiche, abusi anche sessuali, frustrazioni, delusioni, che producono nel neonato difese che si depositeranno nella memoria implicita e parteciperanno alla formazione di un nucleo inconscio precoce del Sé non rimosso. Le esperienze neonatali precoci depositate nella memoria implicita non possono essere rimosse poiché la rimozione presuppone il ricordo che può avvenire solo in rapporto alla memoria esplicita la cui organizzazione non è matura prima dei due anni di vita. La ricerca neuroscientifica ha dimostrato infatti che l’amigdala, che organizza la memoria implicita, è già matura precocemente e funziona a partire dagli ultimi tempi gestazionali. Per contro l’ippocampo, indispensabile alla memoria esplicita, matura dopo il secondo anno di vita. Pertanto tutte le esperienze traumatiche depositate nella memoria implicita di natura essenzialmente emozionale organizzano un inconscio che non può andare incontro a rimozione e che ho definito come “inconscio precoce non rimosso”. Poiché i due sistemi della memoria descritti si organizzano sequenzialmente nel tempo ontogenetico, possiamo ipotizzare che nella nostra mente operino due sistemi inconsci che si organizzano in periodi differenti dello sviluppo. Possiamo, su questa base, anche avanzare un’ipotesi sulla organizzazione anatomo-funzionale dell’inconscio rimosso e non rimosso. Il primo può formarsi attraverso la rimozione che comporta un processo attivo che coinvolge il sistema della memoria esplicita (ippocampo, corteccia temporale mediale e orbito-frontale). Il secondo sarà prodotto dal depositarsi delle esperienze emozionali e affettive più precoci nel sistema della memoria implicita (amigdala, gangli della base, cervelletto, corteccia temporo-parieto-occipitale dell’emisfero destro). L’inconscio non rimosso fondato sulle emozioni e sulle esperienze depositate nella memoria implicita si organizza precocemente già nei primi periodi della vita rispetto all’inconscio rimosso che può operare dopo il secondo anno di vita. Nello sviluppo, l’inconscio precoce non rimosso avrà un suo effetto condizionante il processo di rimozione successivo, così come l’inconscio rimosso, una volta formato, potrà condizionare le esperienze non rimosse. Dobbiamo infatti pensare che la memoria, sia esplicita che implicita, vada incontro a un processo continuo di ricategorizzazione tale da facilitare anche l’influenza reciproca delle due forme di memoria. È quanto può accadere anche all’inconscio (rimosso e non rimosso) nel corso del processo analitico. La scoperta della memoria implicita e il suo legame con l’inconscio non rimosso costringe ora l’analista ad un’attenzione particolare e in parte diversa dal passato ad alcuni elementi che caratterizzano il transfert e ad alcuni aspetti del sogno. Il transfert, oltre che nella sua componente narrativa che permette una metaforizzazione dei contenuti, va colto nelle sue componenti extraverbale ed infra-verbale. Con la prima, intendo il comportamento generale del paziente e soprattutto il suo controllo posturale e motorio, che rimanda ad esperienze precoci relative alla dimensione procedurale della memoria implicita, poi l’espressione del viso, il suo abbigliamento, il suo modo di presentarsi nella relazione. La dimensione infraverbale riguarda il modo con cui il paziente comunica, le funzioni “significanti” del suo linguaggio (Saussure 1916-1922) e l’intonazione della sua voce in quanto mezzo con il quale le parole creano suoni che veicolano affetti ed emozioni. La voce, infatti, è un’esperienza di sé che si realizza nel parlare, ma è anche una espressione di sé nella relazione con l’altro. Essa costituisce una “corrente transferale” fortemente associata alla voce materna. A questi elementi della comunicazione si uniscono l’intonazione, il ritmo, il volume, la musicalità dell’intera sequenza sintagmatica insieme alla sintassi e ai tempi del linguaggio. Tutto ciò costituisce quello che ho definito come la “dimensione musicale del transfert”. Tale dimensione musicale si riferisce ad un’idea della musica come linguaggio sui generis la cui struttura simbolica è isomorfica a quella del nostro mondo inconscio emozionale e affettivo. Tale linguaggio costituisce la metafora transferale delle esperienze precoci affettive ed emozionali che il bambino ha vissuto con la madre e che ha caratterizzato il modello implicito della sua mente. Tale modello ha le sue radici nel tono affettivo ed emozionale della voce e del linguaggio materno che il bambino apprende molto prima del significato simbolico. La voce materna è vista come un’area metaforica di scambio attraverso la quale avvengono processi primitivi di proiezione e introiezione. Analogamente, nella relazione analitica, l’analizzando e l’analista usano la loro voce e la struttura del loro linguaggio per comunicare i propri affetti ed emozioni e per facilitare oppure ostacolare il reciproco investimento affettivo. La stessa componente semantica della parola dell’analizzando è influenzata dal significato emozionale della sua storia inconscia precoce che si basa sulla intonazione della parola appresa. Tale dimensione fa parte dell’inconscio non rimosso in quanto collegata alle prime esperienze fetali e neonatali con la madre e l’ambiente in cui cresce, che sono depositate nella sua memoria implicita. La dimensione musicale descritta permette alle emozioni di essere scisse e identificate proiettivamente nell’analista e quindi in grado di pungere la sua pelle controtransferale molto più di qualsiasi contenuto della narrazione. Un’attenzione particolare dovrà essere dedicata anche alla voce e alla struttura del linguaggio dell’analista che, nel comunicare con il proprio analizzando, può veicolare emozioni che riguardano parti del Sé inconsce non rimosse che possono condizionare il senso della sua stessa interpretazione. Il sogno costituisce una rappresentazione privilegiata per cogliere le fantasie e le emozioni collegate alle prime esperienze preverbali e pre-simboliche che caratterizzano il modello implicito della mente del paziente. Oltre ad essere un sipario aperto sul transfert e un rivelatore di dinamiche intrapsichiche e intersoggettive specifiche, il sogno va visto oggi come la funzione della mente capace di rendere simboliche esperienze pre-simboliche e preverbali. Ciò permette la pensabilità e la verbalizzazione di esperienze precoci mai verbalizzate né pensate. Le immagini inoltre che il sogno produce colmano il vuoto della non rappresentazione che caratterizza l’inconscio non rimosso. Gli stessi personaggi del sogno che possono riferirsi ad epoche molto precoci dello sviluppo possono permettere all’analizzando di rivivere emozionalmente attraverso una identificazione con essi le esperienze più precoci mai conosciute e mai realmente vissute. Questo processo permette una ricostruzione emozionale della storia dell’analizzando a partire dalle epoche più precoci dello sviluppo della sua mente. Nel sogno naturalmente tutto l’inconscio si manifesta ed è il luogo dove l’inconscio rimosso e non rimosso possono influenzarsi reciprocamente ed insieme partecipare alla ricostruzione quale momento terapeutico dell’incontro analitico. Queste riflessioni sull’inconscio e la sua storia sono tese a definire la complessità della funzione inconscia della mente, le vicissitudini cui è andata incontro in questi cento anni dalla prima formulazione freudiana, e suggerire la possibilità di un adattamento della tecnica analitica alle nuove scoperte relative all’inconscio (non-rimosso e rimosso) che l’analisi deve poter trasformare in un processo cosciente. A questo riguardo dice Mancia “ il mio punto di vista si differenzia da quello di Gabbard, Westen (2003) e dalle teorizzazioni del gruppo di Boston (Stern et al., 1998; Lyons-Ruth et al., 1998) che sottolineano l’importanza, ai fini terapeutici e trasformativi, della sola costruzione nell’hic et nunc della seduta. Pur non negando il valore della costruzione, che anzi considero preparatoria ad un lavoro più approfondito con il paziente, penso che la funzione trasformativa e terapeutica dell’analisi sia essenzialmente fondata sulla ricostruzione della storia affettiva ed emozionale dell’analizzando a partire dalle epoche più precoci del suo sviluppo caratterizzate dall’inconscio non rimosso."

Il sogno per Bion.

 La capacità che abbiamo tutti noi, per Civitarese (2014), in misura maggiore o minore di sognare fa di tutti noi dei poeti. La capacità di comporre questa “poesia” del reale, che Bion chiama reverie materna e Winnicott “preoccupazione materna primaria”, aiuta la nascita psicologica, e da sale alla nostra esistenza. Istituisce la “collusione psico-somatica” su cui basiamo la naturalezza dei nostri vissuti corporei. L’attività del sognare è continua per Bion, giorno e notte, e crea una continuità del lavoro della mente. Similmente al sogno protegge il sonno dalla realtà esterna, permettendo l’elaborazione e la trasformazione delle esperienze emotive, esso protegge il materiale inconscio, impedendogli di penetrare la coscienza nella veglia, consentendoci di andare avanti senza essere consapevoli di tutti gli stimoli esterni ed interni. Sognare è il modo in cui diamo un significato personale all’esperienza ed espandiamo l’inconscio: ciò è necessario non tanto per decifrare le immagini del sogno. Viene dato risalto e valorizzata la funzione di creazione simbolica per sviluppare una competenza narrativa e, data la prossimità al nucleo del corpo ed emotivo dell’individuo nel qui e ora, per creare attraverso la continua elaborazione del flusso delle emozioni, una connessione corpo-mente. In ogni scena relazionale le più banali tipo due amiche che parlano della vacanze e di qualcos’altro di piacevole, avvengono processi inconsci sofisticati. Nella loro mente questi processi trasformano continuamente l’esperienza in atto in immagine ed in questo la rendono assimilabile. Questa è la funzione alfa di Bion. Esso trasforma il non mentale, de-concretizza o de-sensibilizza il reale, e converte in tracce mnestiche o qualità psichiche i dati bruti (elementi beta) o im-pressioni (non assimilate). Si tratta di una specie di pre-digestione di protoemozioni e proto-sensazioni, come quella che si effettua già nella bocca prima della digestione. Insomma la funzione alfa è qualcosa a metà tra una traccia vuota di senso ed una prima forma narrativa. Per avere un’idea di questo “qualcosa tra” si potrebbe pensare all’effetto di estraniamento che si produce quando si pronuncia più volte una stessa parola ad alta voce. Per Bion ci dice Civitarese (2014) la funzione alfa emerge dal corpo, e va distinta dal sognare e dal pensare. Fornisce solo i mattoncini come i Lego per il sogno e per il pensiero. Il sogno è la via regia non dell’inconscio ma della realtà. Per Bion le immagini del sogno quindi non sono da decifrare (come nei sogni degli stati del Sé di Kohut), bensì sono già il prodotto più o meno riuscito dell’operatività simbolico-poietica dell’individuo. Se nel sogno di un bambino appare un orco, dice Civitarese (2014) al posto del padre, non si pensi tanto al lavoro di mascheramento, ma a quello creativo, nel senso di legare e trasformare le emozioni, di cui si incarica la metafora/condensazione onirica. Meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sul senso che l’immagine apporta in più, e da lì eventualmente ripartire proponendo, come nel gioco dello scarabocchio, un’altra forma simbolica o altri sviluppi narrativi. Non più traduzioni sature da orco a papà ma la trasfigurazione poetica e insatura da papà ad orco. Più che nascondere il sogno svela ed apre alle molteplicità dei punti di vista e delle interpretazioni. A partire da Bion, quindi, il sogno, fino a lui non vi è dato sogno senza sonno, diventa il frutto di un processo sempre funzionale sempre attivo, sia nel sonno che nella veglia. Durante il sonno, il sogno approfitta della sospensione della coscienza; grazie alla fisiologica anestesia del sonno, l’attività onirica rende possibili quelle esperienze emotive che non potrebbero raggiungere(in quanto inaffrontabili per il troppo dolore, gravità, calore, stati emozionali troppo traumatici ed intensi,) lo stato di veglia e di consapevolezza. Durante il sogno, la cosiddetta funzione alfa può invece iniziare a convertire i grumi emotivi di cui sopra in piccole unità, raffigurabili, narrabili e dunque ulteriormente elaborabili. Quindi nel sogno, come nelle varie interpretazioni che avvengono in seduta, il sogno esprime un senso storico dell’individuo attraverso una “verità” narrativa e relazionale, in cui non c’è un simbolo del paziente o archetipico da interpretare, ma la simbolizzazione nasce dall’incontro paziente –terapeuta, come creazione di un senso nuovo. Così facendo il sogno diventa anche il prerequisito alla strutturazione della memoria, consentendo trasformazione ed immagazzinamento degli elementi percettivi dello stato di veglia e dei loro correlati emozionali. In ultimo come il pensiero rimanda al sogno così il sogno fornisce la base per la strutturazione del pensiero, in un gioco di rimandi e di reciprocità fra i due. Dai pittogrammi affettivi, pertanto, si sviluppano per Ferro (2007) i derivati narrativi. Ciò che è importante è considerare che la formazione di pittogrammi emotivi è continua (e forma il pensiero onirico della veglia) e che i "derivati narrativi" possono essere diversissimi a patto che siano compatibili con la sequenza di elementi alfa. Da ciò derivano due conseguenze importanti che "le libere associazioni" sono in realtà "associazioni obbligate" nel senso che derivano istante per istante dai fotogrammi visivi (o pittogrammi emotivi) che continuamente la funzione alfa genera dando vita al "pensiero onirico della veglia", mentre sono assolutamente libere per quanto riguarda "il genere narrativo scelto" che può andare a "pescare " in una infinità di generi espressivi (film, ricordi di infanzia, aneddoti, diario intimo, ecc.). I "generi letterari" sono dunque infiniti, è obbligatoria la coerenza tra ciascuno di essi e la sequenza di elementi alfa del pensiero onirico della veglia cui permettono espressività. Anche il sogno narrato in seduta può essere – quasi paradossalmente – considerato come un "derivato narrativo" (una libera associazione obbligata) rispetto al momento in cui il sogno viene narrato: cioè come qualcosa che dà espressività al pensiero onirico della veglia che si è formato in quel momento. Per Ogden (2009) “Sognare è la forma più libera, più inclusiva e più profondamente penetrante di lavoro psicologico di cui sono capaci gli essere umani”. Bion, dice Ogden, rivede completamente il modo di vedere il sogno di Freud. Per Freud lo scopo del sognare e del processo analitico era quello di rendere cosciente l’inconscio. Per Bion, invece, è quello di rendere cosciente l’inconscio, cioè rendere l’esperienza vissuta cosciente disponibile per il lavoro inconscio del sogno. Il lavoro del sogno è il lavoro psicologico attraverso cui creiamo significato personale simbolico, divenendo con ciò noi stessi. Noi sogniamo noi stessi in esistenza. In assenza del sognare noi non riusciamo a creare significato che risulti personale per noi. In questo stato psicologico “non si può andare a dormire e non ci si può svegliare” (Bion, 1962). Inoltre per Bion sognare è l’attività psicologica mediante la quale noi acquisiamo consapevolezza. Sognare “crea una barriera contro fenomeni mentali (inconsci) che potrebbero sopraffare la consapevolezza del paziente..” (Bion, 1962). Il sognare non è il prodotto della differenziazione della mente cosciente e inconscia; è il sognare che crea e mantiene questa differenziazione e, così facendo, genera consapevolezza umana. Questo discorso sul sogno potrebbe essere provato dai tanti esperimenti di deprivazione del sonno fatti, dove si perdevano i riferimenti consapevoli soliti e si potevano avere anche allucinazione. Comunque questo discorso presuppone una importante differenziazione fra la coscienza è la consapevolezza o autocoscienza. I processi coscienti sono esperienze continue, possiamo paradossalmente dire che sono inconsce, ma la consapevolezza significa non solo essere nell’esperienza, ma pensare e riflettere sull’esistenza, ed è proprio questo passaggio dalla coscienza esperienziale alla consapevolezza espressiva, che è favorita dalla funzione alfa di Bion, ovvero la capacità di sognare nella veglia e nel stato di sonno. Possiamo concludere che i due inconsci, il rimosso e il non rimosso, hanno quindi due funzioni ben precise. L’inconscio non rimosso serve all’elaborazione e trasformazione dei segnali emotigeni in immagini ( si tratta di una simbolizzazione non verbale, secondo la teoria del codice multiplo della Bucci, e della Funzione Alfa di Bion), l’inconscio rimosso alla trasformazione simbolico-verbale dei contenuti provenienti dall’inconscio non rimosso (elementi beta di Bion) oltre che all’attuazione della rimozione.

Sogno e “barriera di contatto” in Bion.

L’adeguato funzionamento della funzione alfa determina secondo Bion, la formazione della “barriera di contatto”, ovvero una parte importante dell’apparato psichico, costituita dall’insieme di elementi alfa che determinano il contatto o la separazione fra coscienza e inconscio. Essa è una membrana semipermeabile che permette l’alternanza dei diversi stati mentali (sonno o veglia) e di avere la nozione del tempo. Quando sono presenti gravi disturbi del pensiero e quindi il proliferare di elementi beta, abbiamo, al posto della barriera di contatto, uno “schermo di elementi beta”, esso non permette una differenziazione tra conscio e inconscio, tra sonno e veglia. Si possono avere seguendo questa ipotesi diversi tipi di patologia e sofferenza mentale, dal tutto inconscio della psicosi e della allucinazione al tutto realtà e concretezza delle persone alessitimiche che sono tagliate fuori dalla propria interiorità dalla loro linfa vitale delle emozioni . Bion infatti dice (1992) “ I sogni che non suscitano associazioni e realtà essiccate dai sogni si equivalgono, sono entrambi simili alle proliferazioni allucinatorie”. Quindi il pensiero dello psicotico mancando della funzione di filtro della barriera di contatto, non può né sognare né essere sveglio. Il suo universo è più strutturato dall’equazione simbolica che dalla simbolizzazione, ovvero le parole sono trattate come cose. Il simbolo invece presuppone una distanza delle parole dalle cose, che equivale al vuoto dell’assenza dell’oggetto e, alla percezione della presenza di un non seno o di una non-cosa. L’incapacità dello psicotico dice Manica (2016) “ di sognare non vuole dire che non sogna di notte ma che non si sveglia (del tutto) dal sogno. Non riesce ad abitare contemporaneamente i due mondi del sonno e della veglia. Non distingue l’allucinazione dalla percezione, perché una veglia senza sogno è uno stato di allucinosi, mentre un sogno senza veglia è uno stato di allucinazione. La “normalità” è la misura della capacità di oscillare tra veglia e sogno”. Se vogliamo anche considerare ed accostare la funzione di “oggetto transizionale” di Winnicott a questo discorso possiamo dire che Winnicott parlando di esso si riferisce ad una dimensione della vita che riguarda una realtà né esterna né interna, ma collocata nel luogo che collega le due realtà e separa l’interno dall’esterno. Usa molti termini Winnicott per riferirsi ad esso- terza area, area intermedia, area di gioco, spaio potenziale, luogo di riposo e seda dell’esperienza culturale. In una chiave diversa di lettura possiamo pensare all’intermedio, la potenziale di questa area come ad una dimensione che riesca ad integrare l’articolazione relazionale dei fenomeni transizionali con le funzioni creative e trasformative del sogno alfa. Insomma l’area transizionale potrebbe essere lo spazio mentale necessario affinché la funzione alfa possa fare il suo lavoro e sognare, quindi trasformare la sensorialità in pittogrammi ed infine nella capacità di produrre dalla emersione di esso una infinità di mondi possibili di narrazioni. Legando così in parole semplice la mente al corpo e costituendo quella integrazione psico-somatica” tanto agognata da Winnicott. Sognare dice Ogden (2009) è “la forma più libera, più inclusiva e più profondamente penetrante di lavoro psicologico di cui sono capaci gli esseri umani, realizzato attraverso una conversazione tra diversi aspetti della personalità”. Per riassumere possiamo dire che le caratteristiche del sogno per Bion sono: A) Il sogno è un caso particolare di un processo sempre in corso, sia nel sonno sia nella veglia; B) Sospendendo la consapevolezza, il sogno rende possibili le esperienze emotive che la personalità non si consentirebbe di avere durante la vita conscia della veglia. La mette così a disposizione della funzione alfa che le rende idonee, tramite la conversione in elementi alfa e la narrazione, ad ulteriori elaborazioni da parte del pensiero; C) Il sogno è indispensabile per immagazzinare le impronte sensoriali di esperienze emozionali acquisite durante lo stato di veglia che vengono poi usate nella strutturazione della memoria; D) Il sogno è un processo evacuativo notturno che la mente usa per disfarsi di qualcosa di sgradevole che ha incorporato durante il giorno. L’aspetto non elaborato di un evento viene digerito attraverso il lavoro del sogno. Tale processo di digestione è indispensabile per lo sviluppo della mente attraverso l’apprendere dall’esperienza; E) Il sogno fornisce la base per pensare e sentire dando individualità a queste azioni e rimane nella mente come mito costruito nel privato; F) Possiamo pensare che il sogno possa essere una delle prime forme di alfabetizzazione di O. Il sogno incubo forse riesce ad affacciarsi sul protomentale di O, è un abbozzo embrionale di mentalizzazione dell’impensabile o di ciò che è ancora appena al di là del limite di pensabilità. Quando si sviluppa un gradiente minimo di possibilità di rappresentazione si dà allora luogo ai sogni traumatici, quelli che Kohut chiama i sogni sullo stato del Sé. . Fino ad arrivare ai sogni che riescono a simbolizzare l’esperienza di “O”, che sono in grado in senso intrapsichico di drammatizzare il funzionamento psichico del sognatore, e in senso transpersonale, riescono a fotografare invece e a monitorare il funzionamento della coppia analitica e dei suoi movimenti relazionali. A questo punto facciamo anche un breve riepilogo riassuntivo di cosa possa significare per Bion la funzione Alfa: Essa è una funzione continua che si manifesta sia nello stato di veglia che durante il sonno, in particolare nel sogno. ed opera sulla base degli stimoli che riceve dentro e fuori la psiche, in particolare opera sulla controparte mentale degli eventi della realtà esterna. Prima della trasformazione in alfa c’è una pura nota musicale, priva di armonie, mancante di associazioni, di forma e senza qualità comunicative, senza una espressione possibile verbale. Emozionalità, paura angoscia, terrore, senza una possibilità di dare un nome a queste esperienze e riconoscerle come corrispondenti a qualcosa di noto, puri fatti non digeriti, non sognati (Ogden, 2005). Questi sono materiale su cui lavora la funzione alfa e, il suo lavoro è il primo passo per trasformare l’esperienza emozionale in materiale su cui apprendere. La funzione alfa è indispensabile per lavorare in modo creativo, rende le esperienze uniche, personali così che le impressioni sensoriali o le emozioni possano diventare disponibili all’inconscio o al conscio con una qualità soggettiva.

I sogni per la Psicologia del Sé.

Kohut chiama “Sogni che rappresentano uno stato del Sé “ la maggior parte dei sogni. Kohut li considera tentativi di contenere tensioni incontrollabili che minacciano l’integrità del Sé. Descrive questi sogni con una funzione specifica quella di rendere esprimibili a parole processi psicologici che ne sono privi. Ovvero il fatto che l’esperienza di frammentazione abbia una rappresentazione visiva nel sogno favorisce il processo reintegrativo. In termini di Psicologia del Sé, Kohut (1977) ipotizza che quando il Sé è minacciato da uno stato di frammentazione o di dissoluzione, la funzione del sogno è quella di ripristinare il Sé; sono i sogni che egli chiama “sogni sullo stato del Sé” (self-state dreams). In queste formulazioni è implicito un funzionamento cognitivo elevato, mentre va diminuendo l’accento sulla presenza di operazioni difensive. Per Fosshage, noto psicoanalista della Psicologia del Sé, «la funzione sovraordinata dei sogni consiste nello sviluppo, mantenimento (regolazione) e, se necessario, riparazione dei processi psichici… e dell’organizzazione [psicologica]» (Fosshage,1983). L’attività mentale durante il sogno, così come durante la veglia, ha funzione organizzatrice e va da una cognizione elementare – come, ad esempio, il rivivere momentaneamente un avvenimento – a forme altamente complesse, come lo sforzo di risolvere complicati problemi emotivi o intellettuali. L’attività mentale durante il sogno, così come durante la veglia, elabora le informazioni e contribuisce allo «sviluppo dell’organizzazione psicologica attraverso il consolidamento della rappresentazione di nuove configurazioni psichiche emergenti» (Fosshage,1983). Si acquisiscono nuove prospettive percettive e si elaborano le immagini di nuovi comportamenti, contribuendo così allo sviluppo. Ne emergono nuove rappresentazioni oggettuali (o schemi) e nuovi scenari relazionali. L’attività mentale durante il sogno, inoltre, può proseguire gli sforzi consci o inconsci della veglia per risolvere conflitti, ripristinando uno stato precedente, utilizzando processi difensivi o creando una nuova organizzazione.

Quattro modalità di interpretazione di un sogno.

Poniamo che una paziente, all’inizio di una terapia, dopo alcuni interventi interpretativi dell’analista dica: «Quando ero bambina andai con fiducia a trovare Gina la mia compagna e mai mi sarei aspettata che il nonno di lei – rimasti soli – mi toccasse sotto la gonna in modo così sconvolgente. Ricordo che mi allontanai con l’intenzione di non tornare mai più». Un primo modello di intendere i personaggi, l’analisi prenderebbe vita proprio dalla narrazione che viene fatta, attraverso un progressivo sciogliersi della rimozione di esperienze infantili, reali, accadute, che man mano che saranno «ricordate», o ripetute, nel transfert saranno elaborate e de-tossicate. Ciò che prima era inconscio e causa di inibizione e di vissuti di colpa, diventando conscio si dissolverà come neve al sole. Il terapeuta sarà come l’archeologo che aiuta a portare in superficie i contenuti inconsci. Questa è la modalità che si addice ad un funzionamento isterico di conversione/ossessivo, dove il sistema difensivo primario è la rimozione. Nel secondo modello di intendere i personaggi, la stessa narrazione sarebbe prevalentemente intesa e interpretata come un vissuto che ha molto a che fare con l’attualità della situazione relazionale: la paziente sta dicendo di essersi inaspettatamente sentita toccare dalle interpretazioni dell’analista in profondità, in modo troppo intimo ed irrispettoso delle proprie emozioni e di aver desiderato di non continuare l’esperienza analitica che la espone a vissuti molto disturbanti. Questa è una modalità di funzionamento impostato dalla difesa della scissione. Parti scisse rischiano di avvicinarsi pericolosamente tramite il terapeuta. Nella terza modalità (quella del campo insaturo in perenne espansione) c’è un ascolto della comunicazione manifesta relativa all’infanzia e un sentire fondamentale il rispetto di questo livello della narrazione, ma anche un ascoltare il secondo livello relazionale attuale senza bisogno di interpretarlo, considerandolo però come una segnalazione proveniente dal campo di un eccesso di vicinanza e profondità dell’attività interpretativa per cui quest’ultima andrà modulata. In una particolare situazione quale quella consentita dal setting analitico, la porta sarà aperta anche dalla paziente che sente il proprio mondo affettivo intruso da propri stati proto emotivi tumultuosi e abusanti perché non dispone della «attrezzatura per contenerli e metabolizzarli» (insufficiente ? insufficiente funzione). La quarta modalità può rappresentare lo stato del Sé: e il sogno rappresenterebbe un tentativo di rendere coeso il proprio Sé che si sente minacciato da contenuti (oggetti-Sé inadeguati) che lo frammenterebbero. L’analista, tenendo in mente la necessità attuale di rispettare la narrazione, la risposta alla qualità delle proprie interpretazioni, il tipo di strumenti per pensare di cui dispone la paziente, aprirà ad ulteriori operazioni narrative che apparterranno all’infanzia prima modalità, al qui e ora la seconda, al dentro della paziente la terza, alla coesione del Sé la quarta, in un’oscillazione continua dei vertici di ascolto. Un «romanzo» nuovo e imprevedibile prenderà vita dall’accoppiarsi in seduta dei due co-narratori, che dovranno continuamente vedersela con quanto dal rimosso, dallo scisso, dall’impensabile, dal Sé entrerà nell’attualità del campo analitico e con quanto da questo (in questo «trasformato» a seconda dell’interagire delle menti) tornerà ad abitare il Mondo Interno e la Storia del paziente senza che ci sia mai la parola fine a questa tessitura narrativa e trasformativa. “Anche la Storia sarà un luogo «mitico» del campo e sarà comunque più importante l’imparare a leggere e produrre nuove lingue e nuovi alfabeti rispetto alla conoscenza di qualsiasi Storia: cioè ci sposteremmo da una psicoanalisi dei contenuti e delle memorie a una psicoanalisi che privilegia lo sviluppo degli apparati per sognare, sentire, pensare (Ferro 2006).

Diversi ipotesi interpretative di un sogno.

Facciamo riferimento ad un sogno che ci farà da guida preso da Panizza (2016) “Sono chiusa in un recinto sabbioso desertico, e cammino su e giù, avanti e indietro. Un lato confina con un altro recinto, dove sono rinchiusi dei lebbrosi. Sono orribili, nudi con una coperta in testa, le fattezze mostruose, poco umane. D’un pallore cadaverico. È vitale per me che se ne stiano nel loro recinto, segregati, lontani. Poi, la rete divisoria si smaglia: un lebbroso orrendo allarga a forza il buco, ed entra nel mio recinto dirigendosi verso di me. Mi abbraccia, si struscia tutto, mi contagia. Prima di andarsene commenta: ‘Eccoti servita! Contagiata. Hai avuto quello che ti spetta!’. Iniziamo da Freud con la sua concezione del sogno come esaudimento mascherato di un desiderio proibito, rispetto al quale il teatro delle relazioni oggettuali kleiniano è un enorme passo avanti. Sulla scena salgono personaggi diversi rappresentanti parti del sé e degli oggetti che interagiscono soprattutto secondo dinamiche aggressive e persecutorie, talora colpevoli e riparatorie. Nel sogno kleiniano abbiamo oggetti, pezzi di oggetti, frammenti corporei che interagiscono tra loro attraverso legami di odio o di amore, regolati da difese arcaiche: scissione, negazione, proiezione, identificazione proiettiva. Il passo compiuto è significativo, perché introduce nel sogno (come nel gioco) una quantità di personaggi interni che dianzi si fermavano sulla soglia della prima o della seconda topica. Non che in Freud i personaggi non ci siano, ma sono ridotti a maschere dei pensieri latenti: pulsioni e difese nella prima topica, io, es, super-io, nella seconda. Guardando in avanti, le relazioni oggettuali kleiniane presentano alcuni punti di debolezza. Innanzitutto la “fantasia inconscia, che è sottesa alle relazioni oggettuali, si appoggia a qualità innate: aggressività e invidia primarie hanno la palma delle sorgenti che eccitano la fantasia inconscia, e trasfigurano gli oggetti al di là della loro realtà relazionale. Ricordiamoci il sogno dei “lebbrosi”, che in una trama kleiniana vengono a rappresentare parti aggressive e invidiose innate. Sotto questo versante la teoria della Klein rimane una teoria pulsionale come quella freudiana. Come tale, diventa superfluo stabilire quanto spetta al sé, in sogno, e quanto all’oggetto: l’oggetto è frutto di proiezione, ora dell’istinto di morte, ora di difese idealizzanti. Winnicott, invece, a differenza della Klein, da importanza alla realtà esterna, quella ambientale nella formazione del baby: le offre un posto centrale nello sviluppo affettivo anticipando l’Infant research. Questo fa si che l’indagine di Winnicott colora l’approccio al sogno: il sogno diventa quel teatro transazionale in cui il sé in formazione si rapporta all’oggetto soggettivo in evoluzione verso l’oggetto oggettivo. Sogno e gioco rappresentano quel mondo di mezzo dove le trasformazioni del sé e dell’oggetto sono in corso, e talora si cimentano in situazioni di prova, quasi per finta. Fu Bion a fare il passo decisivo. Le identificazioni proiettive del baby-paziente non solo hanno un significato conoscitivo, ma pure inducono la rêverie materna-analitica, che le restituisce digeribili come parole e immagini (alfa). Prendiamo ad esempio il sogno dei lebbrosi. La paziente offre i lebbrosi come immagini di elementi beta trasformati: sensazioni, emozioni, identificazioni proiettive, scisse. L’analista li “risogna” e li restituisce come elementi del sé che vanno accolti e curati. La comunicazione avviene tra il racconto del sogno e le associazioni-rêverie dell’analista, fuori dal sogno. Per Bion, sognare è l’attività del vivere e di fare analisi, di tradurre i fatti duri della coscienza (beta) in elementi-immagini (alfa) inconsci, cui accostarsi con la metaforizzazione della rêverie. Bion, come vedremo dettagliatamente, rovescerà gli assiomi freudiani sul sogno: trasformerà il lavoro onirico da funzione di maschera a funzione creativa di significato e di inconscio. Il sogno per Kohut aveva avuto una funzione predittiva per l’integrità del sé, annunciando i pericoli alle porte: i lebbrosi, momentaneamente tenuti in un mondo separato, si apprestavano a varcare i recinti. I sogni sono una finestra attraverso la quale ci rendiamo conto della fase maturativa o di impasse del sé, mostrando sintonie e dissintonie degli oggetti sé, rappresentati nel transfert dall’analista. Se questa è la cornice generale, quella particolare si concentra sullo stato di pericolo del sé: sono i self state dreams. Kohut pensava a questi sogni come autoriflessioni, autoscopie inconsce sul sé in pericolo. Il sogno dei lebbrosi è di questo genere: avvisa paziente e analista del pericolo incombente e li indirizza verso un tentativo di risolvere l’impasse. Col tempo il “self state dream” si allarga e finisce con il monitorare i diversi stati del sé nelle varie traversie e situazioni. I n La guarigione del sé lo schema proposto da Kohut è quello che abbiamo considerato: la parte sana del sé vede il pericolo di crollo per la parte fragile. Il passo successivo vede estendersi l’ombrello del self state dream, pur non tematizzato, al monitoraggio dell’intero stato del sé in tempo reale. Quindi il self state dream si estende alla situazione analitica anticipando la situazione della coppia analitica, fotografata-pittografata in tempo reale (Ferro, 1996). Queste segnalazioni forti di Kohut troveranno in Fosshage un’articolazione molto interessante. Fosshage vede nel sogno una funzione multipla di tutela del sé: mantenimento, integrazione e sviluppo. In questa prospettiva vediamo all’opera nel sogno sia una tensione fisiologica alla cura del sé, sia il processo analitico che lavora nella cooperazione duale. L’evolutività di questi sogni mostra il progresso nel tempo della coppia al lavoro. Il mantenimento, l’integrazione e lo sviluppo mostrano la cura che il sogno ha del sé e della relazione. Riassumendo: 1) Il self state dream avvisa dei pericoli del sé. 2) Successivamente si estende allo stato del sé. 3) Quindi fa il monitoraggio della relazione analitica e degli interventi dell’analista. 4) Con Fosshage entrano in scena i sogni evolutivi (mantenimento-integrazione sviluppo). L’interpretazione sarà verbalizzata o silenziosa, seguirà i passi del sé del paziente, formulata da un oggetto-sé che, rispecchiando il paziente, consente il procedere della crescita del suo narcisismo, nel rispetto delle difese che hanno consentito la sopravvivenza. La riflessione sul sogno ebbe una torsione significativa con Bion e i postbioniani. Pensiamo al sogno dei lebbrosi: dal punto di vista classico, il lavoro del sogno maschera, sotto forma di lebbrosi, pensieri inconsci malati, desideri pericolosi che si infiltrano nella coscienza sotto mentite spoglie, terrifiche e corrotte, che corromperebbero l’integrità di un io fragile, blindato nelle sue difese schizoidi. Da un punto di vista kleiniano ci sposteremmo solo un po’ più in là, ma non molto, nell’arena di una lotta tra parti scisse, le une schizoidi, le altre negate e proiettate. Bion rovescia questo modo di procedere. Il lavoro del sogno (simile alla funzione alfa) non maschera qualcosa di proibito, che, allo stato puro, corromperebbe l’io cosciente. Piuttosto trasforma qualcosa di sensoriale-emotivo, nebuloso, che non poteva esprimersi, se non caoticamente come atmosfera o vaga sensazione, in qualcosa che può essere rappresentato in immagini, che successivamente si legano come in un filmato narrativo. I passi in avanti sono due: innanzitutto la trasformazione in immagine rende comprensibile e comunicabile qualcosa che prima non aveva un accesso alla realtà, il dato bruto della protoemozione; in secondo luogo senza questa trasformazione le sensazioni-protoemozioni non possono venir legate tra loro. Con questa trasformazione le immagini possono narrabili, cioè disponibili per il sogno notturno e della veglia, e per l’inconscio stesso del racconto. È l ‘alveo appropriato per il sogno manifesto. Il lebbroso, in questa prospettiva bioniana, non è una maschera, ma un passo evolutivo della proto-emozione sottesa che da inesprimibile si presenta alla ribalta: il senso di indegnità, di esclusione, di rabbia, di invidia, acquista il volto del contagio e supera le cesure, la barriera di contatto, per farsi presente e attivo nella vita della paziente, minacciando l’altra personificazione del sé. Per Freud, il lavoro onirico traghetta l’inconscio verso la coscienza. Per Bion, la funzione alfa, alias lavoro onirico, consente ai fatti dei sensi, delle protoemozioni, di rappresentarsi in immagini e di dare corso a una narrazione inconscia comunicabile, prima impossibile. La funzione alfa rende possibile il legame e la relazione. Ogden, riprendendo Bion (2005) rammenta come la capacità di sognare sia fondamentale per poter fare lavoro psicologico. Non sogno versus la veglia, ma estendendo la capacità di sognare di notte e di giorno: trasformare i fatti crudi (beta) in rappresentazioni inconsce, preconsce, consce, pronte a essere utilizzate tanto nel sogno quanto nella veglia. Se non abbiamo questa capacità alfa, che ricorda ogni minuzia dei fatti senza trasformarli e dimenticarli non dormiamo, non sogniamo mai, né siamo mai svegli. Rovesciando il modo consueto di pensare, che recita che prima si dorme poi si sogna, Ogden sostiene che solo se abbiamo la capacità alfa di tradurre i dati-preoccupazioni in sogno, solo allora possiamo dormire. Viceversa ruminiamo, alluciniamo, ma non dormiamo. A ben vedere possiamo distinguere tre disturbi del sogno: la mancanza di sogno (psicosi); il pavor nocturnus, come sequela di elementi crudi beta che non sono alfabetizzati, e non traducibili in sogni; l’incubo, come sogno non completamente riuscito, ove l’emozionalità beta a un certo punto sfugge ad alfabetizzazione, scocca l’angoscia e si ha il risveglio angoscioso. Credo che la capacità di sognare i fatti emotivi possa essere chiamata funzione del contenitore, che alla stregua della rêverie materna trasforma le identificazioni proiettive sensoriali del baby in rappresentazioni emotive, tasselli della futura funzione alfa del baby. Se ci trasferiamo nel continente winnicottiano, e focalizziamo l’holding in luogo del contenitore, segniamo un accento di spostamento da Bion. Mentre per Bion, sulla scorta dell’eredità kleniana, è la capacità di tollerare la frustrazione da parte dell’infante che fa la differenza, consentendo che il contenitore-reverie trasformi il contenuto prodotto dalla identificazione proiettiva in un elemento rappresentabile, in Winnicott la riuscita della crescita, e con essa del sogno, è appannaggio del caregiver, della sua preoccupazione materna primaria, che può consentire all’infante un alternarsi di stati di integrazione e di non integrazione. Forse l’elemento differenziale più marcato, relativo anche ai sogni, tra Bion e Winnicott, elemento che deriva dalla diversa pratica clinica, concerne l’accento winnicottiano sull’esperienza tout court, che differisce dalla rappresentazione pensiero dell’esperienza emotivo-sensoriale bioniana. L’infante bioniano è separato dal caregiver: le sue identificazioni proiettive cercano la reverie materna. Invece l’infante descritto da Winnicott è tutt’uno con l’holding, e quello che esperisce verso l’integrazione del sé non gli arriva da fuori, ma vive nell’illusione, se non nel fallimento precoce del caregiver. Guardando ai sogni, per Winnicott è importante l’esperienza del sogno, più che la comprensione. L’esperienza di un holding e di una integrazione del sé, l’esperienza della “non-integrazione serena” in presenza di qualcuno che ti tiene. Winnicott sceglie la l’apprezzamento anche silenzioso dell’estetica della bellezza del sogno invece Bion opta per la funzione del sogno come una comunicazione-alfa sulla rappresentazione della creatività dell’analisi. Mentre per Kohut il sogno ci segnala lo stato del sé del paziente e va interpretato comunicando e facendo sentire al paziente il nostro rispecchiamento comprensivo empatico di questo stato narcisistico. Per Ferro invece il sogno è sempre una comunicazione dello stato affettivo relazionale del campo analitico e può essere interpretato a diversi livelli, come abbiamo visto, aspettando sempre la risposta del paziente che fa da gps per farci capire se abbiamo colto nel segno o siamo fuori strada. L’importante, tranne nei casi in cui può essere necessario chiudere con una interpretazione satura, dare interpretazioni insature da lasciare che il senso del sogno e i personaggi del sogno e la sua narrazione ne produca altri. Credo che per tutti questi autori sia importante incrementare l’attività onirica del paziente che permette di dare senso psichico ai sintomi psico-fisici-comportamentali e con questo diminuirne la forza patologica.