L'Infant Research e la Regolazione affettiva. - Associazione Essere Con
05 ottobre 2019

L'Infant Research e la Regolazione affettiva.

L'Infant Research e la Regolazione affettiva.

L’Infant Research e la Regolazione affettiva.

A cura di Ivano Frattini

L’intersoggettività.

Prima di passare ad esplorare le ricerche dell’ Infant research, sarà bene prima capire la nozione che è basilare per l’Infant research : L’ intersoggettività. L'intersoggettività è la capacità di condividere, conoscere, comprendere, empatizzare con, sentire, partecipare, risuonare con, entrare nell'esperienza soggettiva vissuta di un'altra persona. Una specie di lettura del pensiero non magica, attraverso l'interpretazione di comportamenti manifesti come la postura, il tono della voce, il ritmo del discorso, l'espressione del viso, così come dei contenuti verbali. L'idea centrale su cui si basa l'Intersoggettività è che nasciamo con una capacità di partecipare all'esperienza dell'altro. Questa base è il fondamento mentale, il punto di partenza evolutivo per una prima forma di intersoggettività che viene chiamata “intersoggettività nucleare”. L'intersoggettività a livello neurologico viene confermata dalla scoperta dei neuroni specchio. Questi neuroni specchio si eccitano in un osservatore che non sta facendo altro che guardare un'altra persona che compie un'azione. In breve si eccitano nell'osservatore la stesse aeree motorie del cervello come se stesso facendo lui quel gesto. Questo ci permette una partecipazione diretta alle azioni di un altro senza doverle imitare. Sperimentiamo l'altro come se stessimo eseguendo la stessa azione o provando la stessa emozione. Questa partecipazione alla vita mentale di un altro crea un senso di condivisione e di comprensione degli altri e in particolare delle loro intenzioni e sentimenti. Possiamo parlare di una intersoggettività primaria ed una secondaria. La prima è una forma di Intersoggettività fondata soprattutto sull'imitazione e l'azione. Esempio: In un esperimento condotto su un bambino in età pre-verbale ovvero prima dei due anni si assiste a questo: il bambino guardava uno sperimentatore che fingeva di voler estrarre una manopola posta all'estremità di un oggetto simile ad un manubrio ma non ci riusciva. Il bambino a cui viene dato lo stesso oggetto tentò di fare la stessa cosa riuscendoci e mostrandosi compiaciuto (Stern, 2005). Se invece al posto dello sperimentatore vi era un robot programmato a compiere le stesse azioni fallimentari dello sperimentatore reale, il bambino quando gli veniva data l'opportunità, non provava a tirar fuori la manopola, sembrava presupporre che solo le persone, e non i robot, hanno intenzioni che vale la pena di inferire ed imitare. Mentre nell'intersoggettività secondaria, che avviene dopo i 9 mesi circa dalla nascita, vi è l'acquisizione da parte del bambino di percepire le intenzioni dell'altro. Esempio: In un esperimento un bambino ancora nella fase preverbale osservava lo sperimentatore che prendeva un oggetto e “provava” a metterlo dentro un contenitore. (Trevarthen, 1998) Lo sperimentatore lasciava cadere l'oggetto a terra, cosicché l'obiettivo dell'intenzione non veniva raggiunto. Più tardi, quando il bambino veniva riportato sulla scena e gli veniva dato il medesimo materiale, prendeva l'oggetto e lo metteva direttamente nel contenitore; in altre parole metteva in atto l'azione che pensava fosse nell'intenzione, e non quella che aveva visto. Gli esseri umani sono una specie relativamente priva di difese. Sopravviviamo grazie al nostro cervello e alle attività coordinate di gruppo. L'umanità dipende dalla formazione di gruppi (famiglie, tribù, società) e da una coesione di gruppo pressoché costante. Molte capacità e motivazioni diverse agiscono insieme per formare e mantenere il gruppo: legami di attaccamento, attrazione sessuale, gerarchie di potere, amore e socialità. L'Intersoggettività può aggiungersi a questa lista. In linea generale il sistema motivazionale intersoggettivo riguarda la regolazione dell'appartenenza psicologica vs la solitudine psicologica. Ai due estremi ci sono, da un lato la solitudine cosmica e dall'altro la trasparenza mentale, la fusione, la sparizione del Sé nell'altro. Il sistema motivazionale intersoggettivo regola la zona di benessere intersoggettivo di ognuno di noi, che si trova tra i due estremi. Il punto esatto di benessere dipende dal ruolo che una persona ha nel gruppo, dalle persone con cui interagisce e dalla storia personale delle relazioni presenti in quel momento. Il punto di continuum deve essere costantemente negoziato attraverso una sintonizzazione accurata. La posta in gioco è troppo alta perché non sia così. In gioco ci sono l'intimità psicologica e l'appartenenza, che esercitano un ruolo potente nella formazione e nel mantenimento del gruppo. L'appartenenza psicologica è diversa dai legami fisici, sessuali, di attaccamento o dipendenza. È un ordine di relazione distinto: una forma d' appartenenza che è unica del genere umano e che ha fatto fare un enorme salto quantitativo e qualitativo alla nostra specie. Si può pensare che questo salto sia dovuto in realtà al linguaggio, ma senza l'Intersoggettività, spiega Stern (2005), il linguaggio non si sarebbe sviluppato. Per la sopravvivenza è un vantaggio stare tutti insieme, fisicamente vicini per proteggerci dal pericolo dell'ambiente, si tratti di automobili, prese elettriche o altre persone ed anche per poter esplorare per imparare come è fatto il mondo. L'attaccamento è finalizzato alla vicinanza fisica e alla costruzione del gruppo, piuttosto che all'intimità psicologica. Molti individui “fortemente” attaccati non condividono e sopportano la vicinanza psicologica e l'intimità (piuttosto il contrario). Per questo è necessario un altro sistema, il sistema intersoggettivo. La capacità di leggere le intenzioni e i sentimenti degli altri consente una coordinazione dell'azione di gruppo estremamente flessibile. Oltre al linguaggio nel genere umano si è sviluppato un ricchissimo repertorio di espressioni facciali e vocali, paralinguistici, che presumono la capacità intersoggettiva all'interno del gruppo. In breve l'Intersoggettività porta dei vantaggi alla sopravvivenza del gruppo. Promuove la formazione del gruppo e consente un suo funzionamento più efficiente, rapido, flessibile e coordinato. Fornisce anche le basi per il ruolo della moralità nel mantenere la coesione del gruppo e del linguaggio per facilitare la comunicazione. Riassumendo la motivazione dell'attaccamento è una motivazione basata sulla sicurezza e sul bisogno di sentire vicino una figura di riferimento che ci protegge, mentre l'Intersoggettività o la motivazione intersoggettiva, a differenza dell'attaccamento, esprime un bisogno di intimità psicologica, di vicinanza all'altro, di condivisione delle sue intenzioni, pensieri ed affetti. Un bisogno necessario legato all'orientamento intersoggettivo è quello di definire, mantenere o ristabilire l'identità e la coesione del nostro Sé. Per dare a noi stessi forma e coesione abbiamo bisogno degli occhi dell'altro. Ma è attraverso la relazione fra soggetti, sia nella forma di attaccamento e sia nella forma intersoggettiva, che si veicola un'altra dimensione essenziale ed importantissima per la vita di ogni essere umano: La regolazione degli affetti.

L’Infant Research

L'intersoggettività ha una particolare attinenza con il preverbale. Sia perché lo scambio, che fonda la relazionalità, è all'origine del preverbale; sia perché nella vita quotidiana adulta accanto ai simboli verbali, esiste la fitta trama di messaggi “pre” e “para” verbale, che spesso hanno una potenza comunicativa maggiore delle parole stesse. La matrice relazionale ospita fra i suoi autori alcuni ricercatori illustri dell'Infant Research che hanno trovato ovvio e coerente riconoscersi nell'area dell'Intersoggettività. Quando parliamo di preverbale dobbiamo passare la questione all’Infant Research e guardare a quei contributi delle origini che si sono subito prestati ad essere riconosciuti e impiegati nelle dinamiche adulte. L'Infant Research ha inizi sfumati ma con una certa approssimazione possiamo farlo iniziare da quella scuola di Boston che a partire dagli anni '60 vide diversi ricercatori alternarsi. All'inizio, la Mahler puntò la propria ricerca sul legame simbiotico fra madre e bambino. Successivamente il salto di qualità fra le ipotesi della Mahler e le scoperte progressive sull'Infant Research fu attuato grazie all'introduzione di micro registrazioni e alla lettura di micro filmati. Il cambio fondamentale del paradigma fu quello della competenza intersoggettiva primario del bambino, come soggetto attivo nella diade originaria, e dello statuto di intersoggettività preposto alla diade stessa in cui la madre è soggetto attivo a sua volta. Il bambino della Mahler è un bambino passivo: i suoi movimenti di risveglio alla vita sembrano trascinati dal grande flusso fisiologico che avanza, di separazione, individuazione, riavvicinamento, che lo attrae come una calamita verso il sentirsi uno e differenziato. Un po' come se fosse agito dalla separazione - individuazione, come da una forza esterna. La madre della Mahler è ancora un oggetto: qualcuno che pian piano si differenzia dalla fusione col bambino ma rimanendo sempre erogatore di risposta ai bisogni non è un soggetto con un suo mondo interno, i suoi gusti e bisogni, la sua agency, che si relaziona col bambino. Con l'Infant research di Sander, Trehvarten, Tronick, Stern e Beebe ecc. la questione cambia radicalmente. Questi autori ci fanno scoprire un bambino che da subito è sempre di più è in grado di interagire, e di una madre che interagisce sua volta.. Viene microfilmata una sintassi preverbale dell'interazione madre-bambino che troviamo anche nell'analisi dei pazienti adulti. Le regole di questa sintassi si chiamano sintonia, dissintonia, transmodalità, autoregolazione, regolazione interattiva, principio di regolazione attesa, anticipazione, principio di rottura-riparazione, principio di momenti affettivi intensi. A monte di tutti i discorsi che definiscono degli scambi della diade c'è la sintonia. La sintonia, così come definita da Stern, costruirà il mondo delle comunicazioni e della comprensione reciproca. Essa non si basa sulla similitudine dei comportamenti propria dell'imitazione e neppure sul sentire insieme le emozioni proprie dell'empatia; quanto nel comprendere di affetti profondi dell'altro e successivamente riproporli con comportamenti diversi attraverso un vocabolario diverso. Ossia due sono i punti in questione: la comprensione dell'affetto e quindi la segnalazione della comprensione avvenuta con un comportamento diverso. La bambina di Stern afferra un giocattolo e fa “aaahh” per 3 secondi. La madre non la imita, ma si sporge verso di lei muovendo il viso per 3 secondi, per la durata dell”aaahh”. Nella sintonia è racchiusa una molteplicità di significati: ti ho compreso te parliamo lo stesso linguaggio affettivo - cioè il significato della complicità e della similitudine affettiva e dell'unisono delle soggettività. - Tuttavia ti rispondo con un comportamento diverso dal tuo: ti sto mostrando come nell'espressione dei sentimenti si possa essere diversi, originali ed unici – cioè il significato della separatezza, della soggettività e dell'agency. Alla base di tutto questo c'è il fatto che ti riconosco come individualità separata che si connette a me, con la quale io stessa mi connetto - significato del riconoscimento della soggettività altrui che sta alla base della sintonizzazione: prima vi è il riconoscimento. La sintonizzazione si alterna con la desintonizzazione o movimenti di rottura che vanno da una banda minima utile ad una massima, traumatica. Il bambino quando è sazio, stacca lo sguardo e stacca il faccia a faccia. Si desintonizza. Entra in uno stato di riflessività dell'io cioè è solo in presenza dell'altro. Così può essere il paziente quando è saturo di relazione analitica. Così l'analista che meta-comunica sul rapporto, sul transfert, sul paziente, interpretando. L'interpretazione stacca. Queste dissintonie, queste rotture avvengono in dosi minime, quindi positive e riparabili. Altrove, invece, le dissintonie rappresentano vere violazioni della soggettività, non sempre riparabili, dagli esiti imprevisti. Per concludere possiamo dire che tutte queste concezioni indicano che perfino all'età di tre mesi i bambini non rispondono al cibo semplicemente perché viene proposto, ma che al contrario gli eventi producono effetti duraturi poiché vengono trasformati in rappresentazioni interne. Sostenere la possibilità che il bambino abbia rappresentazioni interne nei primi mesi, o presimboliche, era una novità, (l'idea prevalente di allora riservava il termine di rappresentazione al livello simbolico). Ora cerchiamo di approfondire la conoscenza degli autori principali di questa corrente di ricerca psicoanalitica americana. Gli autori che vengono di solito classificati come Infant Research, provengono quasi tutti da un orientamento psicoanalitico della Psicologia del Sé di H. Kohut. Già nel discorso della psicologia del sé prende corpo la proposta dell'immersione empatica, del sentirsi dentro l'esperienza del paziente, è l'elemento cardine di questa impostazione consisteva che con essa cambiava la prospettiva di osservazione del paziente poiché richiedeva al terapeuta un impegno non solo a capirlo nelle sue difese, ma anche a realizzare un avvicinamento in grado di percepirlo nella varietà gradevole e sgradevole della sua vita emotiva. Kohut sosteneva che la sintomatologia narcisistica non rappresentava una difesa all'amore oggettuale, ma si sviluppava come reazione al dolore provocato dalla rottura di quelle relazioni di cura, tenerezza, affetto ed interessamento, che il Sé aveva bisogno di intrattenere con gli oggetti significativi. Quindi si delineava, come abbiamo visto nel campo dell'alessitimia e dei disturbi della regolazione affettiva una teoria psicoanalitica più orientata verso il deficit che non il conflitto. Tutti i post-kohutiani si riconoscono nell'immersione empatica nella realtà del paziente. L'innovazione teorica-clinica introdotta invece da questi autori ha risentito in maniera particolare dell'influsso della ricerca infantile e dei sistemi dinamici non lineari. Da essi è derivata la prova importante della co-costruzione degli avvenimenti relazionali e della realtà cosiddetta bi-personale della relazione psicoanalitica. Dal movimento dei sistemi dinamici viene una revisione sul concetto di Sé che, secondo Kohut, avrebbe un intrinseco disegno esistenziale da realizzare. Invece il nuovo assunto dinamico è che lo stato finale non è all'inizio già presente in qualche forma predeterminata, ma emerge da complesse interrelazioni tra gli elementi del sistema, che ricerca una soluzione stabile. L'Infant research ha avuto il merito di dimostrare l'importanza delle relazioni precoci nella costruzione dell'identità e della personalità. Possiamo iniziare riportando le parole di Mancia (2004): “il primo compito del bambino è quello di formare le prime rappresentazioni (proto-rappresentazioni) dar loro una collocazione spazio temporale ed organizzare il mondo interno. Questo compito è reso possibile dalle esperienze sensomotorie, oltre che acustiche, gustative olfattive depositate nella memoria implicita e collegate alle prime relazioni del bambino con la madre e con l'ambiente in cui cresce”. I contributi dell'Infant Research si possono suddividere in due settori: quello sistemico e quello intersoggettivo. Il primo ha consentito di elaborare una concezione della mente che nasce e si organizza nell'interazione; ha così avviato il passaggio dalla visione di una mente monadica a quello di una mente diadica, ovvero da un approccio monopersonale ad uno bi-personale nella regolazione interpersonale. Nel modello sistemico l'individuo partecipa ad uno scambio continuo con il contesto tramite autoregolazione, regolazione interattiva e di integrazione fra le due. Valga in proposito il pensiero di Beebe e Lachmann :"I bambini come ogni altro sistema vivente sono in grado di autoregolarsi e autorganizzarsi. Il processo di autoregolazione, tuttavia, modifica continuamente il processo di regolazione interattiva ed è da esso modificato. L'esperienza per la quale il bambino si percepisce come soggetto agente si organizza grazie al processo di autoregolazione, ma solo nella misura in cui anche la regolazione interattiva consente o favorisce quest'esperienza. Per usare le parole di Sander: “il senso di sé agente è una competenza sistemica". L'autoregolazione accresce la consapevolezza dell'esperienza interiore (stato generale, emozioni, aspettative) fin dalla nascita. Quindi noi siamo consapevoli della nostra esperienza interiore e al tempo stesso del contesto interattivo. In passato gli studi sull'interazione infantile disfunzionale tendevano a localizzare la fonte del problema in un partner o nell'altro, per esempio, nei problemi caratteriali del bambino o nell'invadenza o nel ritiro della madre. Invece è essenziale riconoscere il contributo reciproco dell'autoregolazione e della regolazione interattiva di entrambi i partner. La prospettiva sistemica non considera separatamente i processi interni ed interattivi ma sottolinea la loro co-costruzione, il modo in cui il processo diadico organizza e riorganizza l'autoregolazione e la regolazione interattiva. Le variazioni nel processo di autoregolazione in ciascun partner influenzano simultaneamente anche il processo interattivo. L'ambito intersoggettivo, invece, ha messo in evidenza come fin dall'inizio la mente del bambino non solo nasca all'interno di una matrice intersoggettiva, ma anche risulti già munita delle competenze e risorse necessarie per essere un agente attivo all'interno di questa matrice; ciò che varia è solo il grado della sua attività. Più in dettaglio l'Infant research di stampo intersoggettivo principalmente con Trehvarten (1998) ha studiato lo sviluppo progressivo e graduale di questo programma di espansione di questo grado di attività, riconoscendo tre livelli definiti come intersoggettività primaria, intersoggettività secondaria e terziaria. L' intersoggettività primaria (2-9 mesi) si caratterizza per essere essenzialmente diadica, dato che lo scambio comunicativo avviene soprattutto tra il bambino e la madre, e pre-simbolica -per cui la comunicazione si realizza in modo intuitivo da parte del bambino e di chi si prende cura di lui-ha inoltre per oggetto emozioni, gesti e comportamenti. In effetti durante il primo anno di vita la diade madre bambino mette in atto un dialogo fatto di vocalizzazioni di comunicazione non verbali, di emozioni che costituiscono una sorta di proto comunicazione e proto conversazione, cui il caregiver partecipa con un “maternese” tale da sembrare un linguaggio universale, realizzato tramite toni di voce alti e gestualità molto pronunciate. Ora ciò di cui il bambino fa esperienza nel primo periodo di vita, non può essere recuperato in termini coscienti, il che significa non che il bambino sia inconsapevole dell'esperienza interattiva con i caregiver, ma che la percezione di tale esperienza opera a un livello di “coscienza nucleare”. Di fatto, gli eventi esperienziali del primo anno di vita, di cui bambino ha solo una coscienza nucleare, vanno ad iscriversi nella memoria procedurale o implicita, per cui anche se non sono accessibili alla coscienza e quindi all'introspezione, tuttavia producono effetti decisivi sul piano dello sviluppo evolutivo. Non solo: dai risultati dell'osservazione risulta chiaramente che nel suo primo anno di vita il bambino è in grado di creare specifiche aspettative nei confronti dei caregiver a seconda della tipologia dell'esperienza maturata. Tali aspettative vanno ad iscriversi nella memoria procedurale e costituiscono il campo di conoscenza implicita procedurale del bambino stesso. L' intersoggettività secondaria (9-12 mesi) è caratterizzata, invece, dall'essere essenzialmente triadica, dato che la comunicazione viene estesa anche a persone diverse dalla madre, oltre che dalla comparsa nel bambino del gesto di indicare. Questo gesto rappresenta una forma prelinguistica di comunicazione, infatti, indicando il bambino riesce ad attirare l'attenzione di un adulto verso l'oggetto, sia a formulare la richiesta per ottenere l'oggetto. Non solo: il passaggio dalla forma di interazione diadica a quella triadica consente al bambino di acquisire nuove competenze di tipo comunicativo e partecipativo, caratterizzate dalla coordinazione della diade nei confronti di oggetti terzi del mondo esterno, ed espandere quindi la coscienza. Per intersoggettività terziaria (12-18 mesi) infine, permette al bambino di assumere nelle interazioni sociali il punto di vista degli altri, cioè di comprendere una situazione da una prospettiva non solo propria ma anche altrui. Una volta che il bambino ha acquisito la capacità di comprendere la mente degli altri e di capirne le intenzioni e i motivi, e di condividerne le esperienze e di scambiare reciprocamente i ruoli, crea le condizioni per la comparsa del linguaggio. Il linguaggio consente di dare espressione linguistica alle immagini, ossia di nominare, ordinare, capire e collocare vari mondi: soggettivo, oggettivo, intersoggettivo (mondo quest'ultimo delle transizioni tra mondo soggettivo mondo oggettivo). L'Infant Research ha dimostrato come i neonati percepiscono da subito l'ambiente che li circonda e quanto essi siano estremamente attivi nell'imparare. In effetti l'apprendimento avviene già nella vita uterina attraverso l'ascolto di suoni come il battito del cuore della madre o il suo tono di voce, e va a formare la cosiddetta memoria implicita precoce. In tale memoria vengono forgiate le associazioni profonde fra intimità, ansia, amore, vergogna che diventano il cuore del nostro schema di attaccamento e della capacità di regolare l'emozioni. Inoltre la memoria implicita non richiede la partecipazione della coscienza ai processi di registrazioni, per cui non coinvolge il richiamo cosciente dei ricordi ed è mediata da strutture cerebrali già presenti alla nascita, quali l'amigdala ed altre regioni limbiche per la memoria emozionale, i nuclei della base e la corteccia motoria per la memoria comportamentale, la corteccia percettiva per la memoria percettiva; consente infine al bambino di costruire modelli e schemi mentali che funzionano automaticamente e sono alla base dell'esperienza con gli altri. Quanto alla memoria esplicita o dichiarativa essa prende avvio nel momento in cui all'incirca verso i due anni di età, il bambino non solo è in grado di ricordare e parlare di avvenimenti verificatisi nel corso della giornata o anche di esperienze più lontane nel tempo ma avverte anche l'esperienza soggettiva dell'essere in grado di ricordare. Peraltro, che nuove capacità emergano consegue alla maturazione del lobo temporale mediale e della corteccia orbito frontale, lo sviluppo di queste aree cerebrali permette ai bambini di avere ricordi espliciti. L'esplicita si articola in memoria esplicita semantica e memoria esplicita episodica. Il processo di registrazione delle due forme semantiche episodiche di memoria esplicita richiedono attenzioni consce dirette specifiche che portano attivazione dell'ippocampo. Molti analisti contemporanei influenzati dalla ricerca in psicologia dello sviluppo hanno sostenuto che la comunicazione precoce madre bambino si svolge ad un livello affettivo, corporeo, prima dello sviluppo di abilità concettuali o simboliche da parte del bambino. Psicologi dello sviluppo come Tronik, Beatrice Beebe e Daniel Stern hanno constatato che il comportamento non verbale della madre e del bambino (lo sguardo, la postura, la tonalità affettiva) si influenzano reciprocamente ed in modo continuo, e sia la madre sia il bambino comunicano attraverso il linguaggio non verbale o ad un livello pre-simbolico. Le nostre prime esperienze relazionali avvengono dunque al di fuori del dominio linguistico, e sono simbolizzate o codificate a livello pre-simbolico, oppure come conoscenza relazionale implicita. La conoscenza relazionale implicita è la percezione vissuta che si esprime non in quello che diciamo, ma nel modo in cui agiamo e sentiamo nelle relazioni. Si tratta perciò di un tipo di conoscenza procedurale della conoscenza, che riguarda l'essere in relazione e che non è codificata al livello linguistico. Storicamente i procedimenti in virtù del quale l'inconscio viene reso conscio, o quello per cui la conoscenza relazionale implicita è tradotta in forma simbolica è stato considerato dagli psicoanalisti il meccanismo di cambiamento privilegiato. Il processo di simbolizzazione linguistica della conoscenza relazionale implicita offre infatti agli individui l'opportunità di riflettere sul modo in cui i loro presupposti prelinguistici, impliciti ed inconsci, danno forma al modo in cui comprendono le relazioni, interpretano le azioni e le intenzioni degli altri, agiscono nelle relazioni danno forma ai loro rapporti con gli altri, attraverso il modo in cui si comportano. Tuttavia nella teoria psicoanalitica contemporanea si riconosce sempre di più l'importanza dello scambio non verbale ed affettivo tra terapeuta e paziente in quanto meccanismo di cambiamento terapeutico in sé stesso. A partire da numerose ricerche empiriche, Beebe e Lachmann hanno sviluppato un modello dell'autoregolazione e della regolazione reciproca delle emozioni basato sul concetto di equilibrio o di zona intermedia. Questi autori sostengono che l'individuo sano dal punto di vista psicologico ha la capacità di muoversi in modo flessibile avanti indietro tra: A-usare le proprie capacità di autoregolazione emotiva per regolare l'esperienza delle emozioni negative, B-usare la relazione con gli altri per regolare le proprie emozioni. La ricerca osservazionale sulla relazione madre bambino ha rivelato, che la sicurezza dell'attaccamento tende ad essere associata con una sintonizzazione affettiva tra madre- bambino di livello medio. Come ci si poteva aspettare abbastanza facilmente i bambini le cui madri non sono mai sintonizzate con loro sono di solito insicuri. Quando si verifica questo pattern il bambino tende ad affidarsi in modo eccessivo a strategie di regolazione autonoma. Tra queste attività si possono elencare il succhiarsi il pollice e l'evitare o distogliere lo sguardo dall'altro. La scoperta forse più interessante è però che anche i bambini le cui madri sono costantemente sintonizzate con loro tendono ad avere un attaccamento insicuro. Può essere dunque che la sintonizzazione eccessiva da parte della madre, rifletta un'ansia riguardante l'indipendenza del bambino e la separazione oppure alternativamente che un'eccessiva vigilanza da parte del bambino rifletta un'insicurezza riguardante la relazione o entrambe le cose. La capacità di regolare la propria esperienza affettiva in modo sano è una importante conquista evolutiva. Questa capacità si sviluppa nei bambini come effetto dell'esperienza di essere parte di un sistema interpersonale nel quale essi sperimentano la possibilità di influenzare o essere influenzati da qualcuno. Se il bambino piange, per esempio, la mamma prova a calmarlo; il bambino allora si rasserena e a sua volta la madre si tranquillizza. E' necessario che trascorra del tempo dopo la nascita prima che il caregiver si adatti al temperamento specifico e ai modelli caratteristici di cambiamento d'umore del bambino. Tuttavia, man mano che il tempo passa e si sviluppa un processo di adattamento reciproco, una certa prevedibilità nel sistema interpersonale emerge. Ciascun partner si trasforma e trasforma l'altro attraverso un processo di coordinazione dei ritmi del comportamento non verbale che avviene in modo costante. Inoltre, nella misura in cui si svolge un processo evolutivo sano, entrambi partner giungono a confidare nella prevedibilità del sistema. Questo tipo di fiducia implicita nella prevedibilità nel sistema consente al bambino di apprendere ad autoregolarsi, anche se il caregiver non gli sta prestando attenzione in quel momento ,e, nello stesso tempo, gli consente di sapere come farsi consolare dal caregiver quando è necessario e come sentirsi rassicurato da lui o da lei. Tronick ha mostrato che nelle normali interazioni faccia a faccia che avvengono tra madre bambino la coordinazione affettiva tra i due avviene per meno del 30% del tempo. I passaggi da stati di coordinazione a stati di scoordinazione e di nuovo alla coordinazione si verifica una volta ogni 3-5 secondi. Tronick ha ipotizzato che questo continuo processo di rottura e di riparazione interattiva svolga un ruolo importante nello sviluppo normale. Esso aiuta il bambino a sviluppare una forma di conoscenza relazionale implicita, che rappresenta sia il sé sia l'altro come capaci di riparare le rotture nell'essere in relazione. Questo tipo di conoscenza relazionale implicita e sicura svolge un ruolo adattivo nella vita quotidiana, perché consente alle persone di negoziare i loro bisogni di sintonizzazione e relazione attraverso tutta la loro esistenza. Essa offre loro il senso di efficacia personale e la fiducia negli altri che consentono di sapere che i conflitti interpersonali e le incomprensioni non costituiscono necessariamente una catastrofe. Questo paradigma offre un modello efficace per comprendere il meccanismo non verbale importante, attraverso il quale il processo per cui in terapia si elaborano le inevitabili incomprensioni e rotture della relazione terapeutica contribuisce a cambiare la conoscenza relazionale implicita del paziente. Tronik si è chiesto “perché gli esseri umani cercano con tanta determinazione degli stati di connessione affettiva ed intersoggettività e perché il fallimento nel conseguire una tale connessione sortisce effetti negativi sulla salute mentale del bambino? Tronik ha ipotizzato allora che ciascun essere umano sia un sistema che si autorganizza e crea i suoi stati di coscienza i quali possono espandersi in stati più complessi e coerenti attraverso la collaborazione con un altro essere capace di organizzazione autonoma. Da questa prospettiva, parte di ciò che accade nel processo terapeutico è che il paziente, nel formare una connessione amplificata dal punto di vista intersoggettivo con il terapeuta, sia capace di espandere la sua coscienza al punto da includervi nuove informazioni, e in modo tale che quest'ultima diventi più completa e coerente. Il terapeuta non fornisce semplicemente informazioni supplementari al paziente, ma piuttosto è il processo di connessione intersoggettivo con il terapeuta a consentire al paziente di espandere e riorganizzare la sua coscienza ad un livello di complessità più alta.

Daniel Stern.

Fin dal periodo neonatale, cresciamo dentro una matrice intersoggettiva e sviluppiamo una forma primitiva di intersoggettività che Stern definisce “nucleare” sebbene creda che l'esperienza di interazione con l'altro non possa essere considerata esperienza d'intersoggettività in senso stretto prima dei 7-9 mesi, cioè prima di quando il bambino inizia a rendersi conto che ogni persona possiede stati interni, o stati mentali, potenzialmente condivisibili con gli altri. La condivisione degli Stati affettivi costituisce un'importante e diffusa forma di partecipazione delle esperienze soggettive che si sviluppa negli scambi comunicativi tra il bambino e la madre nel corso del primo anno di vita. Anche se importante secondo Stern lo scambio affettivo non si può considerare scambio intersoggettivo nel senso proprio del termine, se non è garantito dalla presenza di tre condizioni: la capacità della madre di leggere lo stato affettivo del bambino nel suo comportamento manifesto; quindi, che il comportamento materno non sia l'esatta riproduzione del comportamento del piccolo, ma esprima in qualche modo risonanza con il suo stato affettivo; infine, la capacità del bambino di capire che la risposta materna è connessa a ciò che egli stesso sta provando. Nel tal senso Stern sottolinea che la semplice imitazione di un'azione facciale o di un gesto del bambino da parte della madre, particolarmente frequente nell'interazione nel corso del primo semestre di vita, non garantisce uno scambio intersoggettivo degli affetti, perché tende a mantenere l'attenzione sul comportamento manifesto, e la condivisione al livello dell'azione. In altre parole, nel caso della semplice imitazione il piccolo può comprendere che la madre è partecipe della sua azione, ma non necessariamente che è anche partecipe del suo stato d'animo. Diversamente, nel caso del comportamento che Stern identifica come “sincronizzazione degli affetti”, con cui la madre non riproduce il comportamento manifesto del piccolo ma un qualche aspetto di esso la prima (per esempio l'intensità e il ritmo) che ne riflette lo stato d'animo, il bambino può facilmente comprendere la partecipazione materna alla sua esperienza interiore e vivere con la madre una condivisione di stati affettivi. La sintonizzazione degli affetti appare con una certa frequenza nell'interazione madre bambino soprattutto dagli 8-9 mesi di vita, come se le madri, commenta Stern, intuissero che a quell'età il bambino ha sviluppato una nuova prospettiva soggettiva che gli permette di essere un potenziale partner intersoggettivo. Ciò che caratterizza la sintonizzazione è l'espressione transmodale della qualità dello stato affettivo percepito del bambino da parte della madre. Stern riporta molteplici esempi. Tra questi: “un bambino di otto mesi e mezzo protende silenziosamente le braccia e le dita per cercare di afferrare un giocattolo, che si trova appena al di fuori della sua portata. Mentre si spinge avanti al massimo anche con tutto il corpo in direzione del giocattolo la madre esclama: Uuuuuh! Uuuuuuuh!” in un crescendo di sforzo vocale e respiratorio che accompagna il crescendo dello sforzo fisico del bambino. Nell'esempio la madre utilizza il canale vocale per esprimere la sua sintonizzazione con l'esperienza interiore di sforzo del bambino, manifestata dalla tensione dei movimenti del suo corpo; in particolare, il profilo dell'intensità e la durata della vocalizzazione materna corrispondono al profilo in crescendo dello sforzo di movimento del bambino. Per Stern quindi ciò che presiede principalmente alla sintonizzazione affettiva è lo stato interiore del partner, anziché il suo comportamento manifesto. La corrispondenza transmodale del comportamento, attraverso l'analogia non verbale e la metafora rimodella, l'esperienza della risonanza emotiva in un tipo di sensazione o di stato interiore che Stern chiama “forme del sentire”. Le forme del sentire diventano il referente di ciò su cui ci si sintonizza, facilitando così la simbolizzazione. Per Stern, la sintonizzazione affettiva rappresenta un ponte tra la mente presimbolica e la mente simbolica. Stern suggerisce che le esperienze positive di sintonizzazione definiscano ciò che è condivisibile, ciò che può essere convalidato, mentre le esperienze negative di sintonizzazione definiscono la parte del sé che non può essere convalidata; quest'ultime costituiscono potenziali esperienze “non me”. Stern, a differenza di altre teorie psicoanalitiche, precisa che queste esperienze possono derivare anche da quelle forme che interessano la regolazione affettiva da forme non verbali o implicite di mancata convalida con il caregiver.

Beatrice Beebe

Beatrice Beebe ricercatrice psicoanalista ha lavorato per molti anni accanto a Daniel Stern introducendo, soprattutto nella pratica clinica nuovi punti di vista. Questa autrice cerca di coniugare la ricerca avanzata con l'esperienza clinica, occupandosi in particolare dell'interazione madre-bambino, consapevole del fatto che i processi fondamentali che regolano l'interazione, originariamente a livello non verbale, restano gli stessi per tutta la vita. I suoi studi sull'interazione precoce fra neonati e figure di riferimento, condotti attraverso la codifica di particolari registrazioni, che potessero prendere in considerazione l'intensità dello scambio vocale tra madre bambino di 3-4 mesi, ha condotto l'autrice a confermare come l'interazione sia bi-direzionale, sperimentata in forma ripetuta, tale da permettere ai bambini di organizzare l'esperienza ed infine co-costruita. Grazie a questi studi è stato possibile inoltre, osservare come il ritmo vocale già quattro mesi sia simile a quello degli adulti e il sistema biologicamente preformato. Ciò che, però li ha resi sorprendenti è stata la possibilità di comprendere più a fondo il modello della regolazione: non influenza reciproca, infatti, ma il grado di coordinazione è risultato essere predittivo dell'attaccamento e, comunque, non prima dei 12 mesi. La mutua regolazione eccessiva provocava alti livelli di quella che si chiama arousal, cioè atteggiamenti di risveglio, vigilanza, controllo eccessivo, mentre quella inibita corrispondeva ad una inibizione del coinvolgimento. Solo nei gradi intermedi non si osservava patologia: la flessibilità risultava dunque essere alla base dell'attaccamento sicuro. Un'altra serie di importanti ricerche dell'autrice ha riguardato i meccanismi che regolano l'influenza nel processo di interiorizzazione della relazione durante il primo anno di vita. In particolare tre meccanismi paiono essere significativi. Uno il principio di regolazione attesa, principio sovrano fra i tre attraverso cui si può comprendere come proprio per le regolazioni attese, previste invarianti, creano una serie di aspettative capaci di organizzare la vita del bambino. Attraverso il ripetersi dell'esperienza, ci si costruisce uno schema a cui entrambi i poli della relazione, seppur in maniera differente, hanno collaborato, soprattutto in termini di previsione del comportamento altrui. Poi c'è il principio dell'errore e della riparazione che implica una profonda connessione tra quello che rappresenta l'inatteso, che modifica o rompe lo schema primariamente prefissato, e la capacità di riparare tale rottura. Il terzo è il principio degli intensi momenti emotivi, il quale implica la capacità che particolari momenti siano essi positivi o negativi, possono lasciare il segno nella vita relazionale di madre e figlio, organizzando la psiche e lo sviluppo, generando modificazioni osservabili nei comportamenti successivi. Questi tre principi operano insieme è consentono al bambino di formarsi delle categorie generalizzate e dei modelli di interazione, offrendo ai clinici un modello di comprensione della rappresentazione pre-simbolica e del processo di interiorizzazione che si attua nel primo anno di vita. Poiché i tre principi interagiscono devono forzatamente essere considerati insieme affinché una rottura possa verificarsi, infatti, deve primariamente esserci stata una prevedibilità di regolazione. L'errore-riparazione crea l'aspettativa che il rapporto possa durare ed essere mantenuto anche nella crisi.

Capacità precoci e rappresentazione presimbolica

Se in passato, rappresentazione e simbolo venivano considerati praticamente equivalenti, oggi le ricerche sperimentali sull’infanzia hanno riscontrato che una capacità rappresentazionale rudimentale, non ancora simbolica, può comparire già nel secondo mese di vita. Basandosi sugli studi l’ Infant Research, gli autori propongono che il bambino, nel primo anno di vita, possiede una complessa capacità di rappresentazione pre-simbolica, la quale viene utilizza per le rappresentazioni delle interazioni cui partecipa. Queste prime forme di rappresentazione si basano su Modelli d’Interazione, i quali sono modalità caratteristiche e ricorrenti d’interazione bambino-ambiente, che ripetendosi diventano generalizzati e, in questa forma prototipica, possono costituire l’oggetto delle rappresentazioni pre-simboliche infantili. In particolare, viene sottolineata l’influenza reciproca e bidirezionale fra bambino e figura d’accudimento: ciò che viene rappresentato pre-simbolicamente in questo modello sistemico-diadico è il processo interattivo dinamico, il rapporto di influenza reciproca tre i due partner momento per momento (Beebe e Lachmann, 2002). I modelli d’interazione sono intesi come una proprietà del sistema bambino-madre, il quale, essendo costituito allo stesso tempo sia da una diade, sia da due singoli individui, viene definito sia dalla regolazione interattiva, sia dalle due singole autoregolazioni. L’unità organizzativa fondamentale, quindi, non è l’individuo, ma il sistema nel suo complesso. Il modello sistemico-diadico di Beebe e Lachmann ha come fondamento un lavoro trentennale di integrazione tra Infant research e psicoanalisi; in particolare, il campo di ricerca empirica sull’infanzia privilegiato per l’esposizione dei loro assunti teorici, è quello dell’analisi delle sequenze filmate d’interazione faccia a faccia bambino-adulto. Nella procedura di rispecchiamento facciale vengono filmati contemporaneamente i cambiamenti delle espressioni visive dei due partner, posti uno di fronte all’altro, durante una sequenza temporale di pochi minuti; le tecniche di videoregistrazione permettono di analizzare minuziosamente le interazioni in scale temporali dell’ordine di frazioni di secondo. I risultati sperimentali documentano un forte processo di regolazione bidirezionale e, in particolare, viene evidenziata una straordinaria velocità della risposta di rispecchiamento, al punto che molti comportamenti iniziano in modo pressoché simultaneo e, addirittura, il comportamento di uno dei due partner inizia prima che quello della sua controparte sia terminato, lo anticipa. In poche parole, la rapidità di risposta e di modificazione espressiva reciproca è tale da escludere la possibilità che l’interazione possa essere guidata da un modello stimolo-risposta, da una causalità di tipo lineare, poiché l’adattamento reciproco è troppo veloce rispetto al tempo [fisiologico] di reazione visiva (Beebe e Lachmann, 2002). Questi dati sperimentali possono essere testimonianza del fatto che il bambino, fin dai primi mesi di vita, costruisce modelli mentali di interazioni tipiche che gli permettono di interagire con l’ambiente facendosi guidare da proprie aspettative relazionali, e di anticipare i comportamenti dei suoi partner, codificati pre-simbolicamente in sequenze interattive attese. E’ bene sottolineare nuovamente che in una prospettiva sistemico-diadica, ciò che viene rappresentato nei modelli interattivi, la controparte reale degli schemi mentali, non è unicamente la dinamica autoregolativa del neonato, né è l’accudimento etero-regolativo della madre (o chi per essa), ma è il processo interattivo, è la relazione interpersonale in sé, che non può essere [rappresentata in un modello] considerando i due partner singolarmente;” […] le rappresentazioni presimboliche del Sé e dell’oggetto vengono costruite simultaneamente e in relazione reciproca (Beebe, 2001). Ciò che viene rappresentato è il fenomeno diadico che emerge dall’interazione.

Tempo, Spazio, Affetti e Livello di Attivazione

All’interno di questa prospettiva sistemica fortemente integrata, vengono ipotizzate quattro dimensioni fondamentali, quattro aspetti delle interazioni che potranno essere particolarmente salienti per il bambino ed utilizzati come principali strumenti d’organizzazione: tempo, spazio, affetti e livello di attivazione. Si ipotizza quindi che nella dimensione del tempo, il neonato potrà codificare la velocità, il ritmo, la sequenza e il grado di contingenza del processo interattivo. In quella dello spazio potranno essere rappresentati modelli di avvicinamento reciproco dei due partner o di avvicinamento-evitamento, ricordando che a livello presimbolico non ci può essere rappresentazione d’oggetto che non sia in relazione con una rappresentazione del Sé, e viceversa. Per quanto riguarda gli affetti, potranno essere rappresentati i modi in cui le espressioni facciali e i toni vocali della diade cambiano reciprocamente, e le corrispondenti direzioni affettive, che potranno essere parallele, convergenti o divergenti. Infine, verrà registrata l’influenza della dinamica relazionale sul proprio livello di attivazione. Quindi queste ricerche ci consegnano un bambino dotato fin dalla nascita di un bagaglio di competenze, comunicative e discriminative, volte ad assolvere un suo bisogno fondamentale: quello di entrare in relazione con l'altro da sé. Ma per sviluppare le proprie potenzialità è chiaro che il bambino necessita di un adulto capace di entrare in sintonia, “innamorandosi” di lui. E' nello scambio infatti che il bambino può crescere, sperimentando e ampliando quelle dotazioni di base con cui si è affacciato al mondo. La regolazione di se stessi e dell'altro è in sospensione quando questi principi sono realizzati, mentre scatta all'improvviso quando vengono violati. Se una sequenza di scambi affettivi comportamentali, cui si è abituati, viene disattesa, l'omeostasi è in pericolo, e il bambino dovrà trovare nuovi modi per regolare l'ansia, a meno che il genitore empatico non intervenga con qualche approccio calmante. L'importante è che nelle oscillazioni in più o in meno si possa sempre tornare ad un punto di equilibrio. L'Infant Research ha compreso e dimostrato che la via del benessere non è la semplice sintonizzazione positiva, ma piuttosto la possibilità di oscillare tra sintonia e dissintonia senza cristallizzarsi in un punto di non ritorno. Questi momenti dell'Inter soggettività primaria, questa sintassi preverbale sono pure alla base della clinica adulta: non solo nei casi gravi ma anche negli scambi quotidiani in seduta. La regolazione interattiva nella clinica adulta ci può far immaginare un certo profilo che si ripete: L'analista, spesso senza saperlo ha come obiettivo implicito di ogni seduta di regolare lo stato d'animo del paziente; ora lo fa col ritmo e la profondità del respiro, inconsapevolmente, ora disattivando un'attenzione divenuta troppo vigile, distraendo lo sguardo da un'eccitazione eccessiva del paziente con effetto calamita; ora lo fa coi mille mugugni e cigolii della sedia, con ritmi e toni che comunicano sensazioni diverse. Lo fa con la parola: lo fa col tono, la prosodia e il ritmo come cantilena di una nenia materna o come scarica elettrica che risveglia un flusso mellifluo. Lo fa con i significati della parola più modesta e quelli dell'interpretazioni “illuminata”, quella che offre un involucro sonoro, e narrativo, prima ancora che semantico, agli stati d'animo del paziente che sembrano oscuri. Ma l'analista, in questo modo, contemporaneamente si autoregola: l'attenuazione del suo ritmo del respiro simultaneamente lo calma; il tono che spezza l'eccitazione del paziente distoglie contemporaneamente la sua attenzione soffocante; la parola ninnananna lo pacifica; il significato di un'interpretazione illuminata lo fa sentire contento, capace, creativo. E tutto questo avviene anche nel paziente. L'autoregolazione prende piede invece, quando l'altro della diade stacca il contatto. Allora sia l'analista sia il paziente, provvedono a calmierare i propri stati d'animo, trovando quegli accorgimenti già incontrati nell'infanzia: muovere le dita, le mani, toccarsi i capelli, mormorii, deviazione dello sguardo, battere i piedi ecc. riportano l'equilibrio psicofisico. Tutto questo accade con un attimo d'anticipo sull'altro. Nella diade intersoggettiva l'anticipo è di casa: i comportamenti noti nell'altro hanno finito col costituire uno schema noto, automatico. I passi di danza sono stati interiorizzati, così il ritmo e le aspettative delle interazioni. Basta un gesto per far capire al bambino quale probabile interazione lo aspetta. Basta un gesto per predisporlo a un'interazione diversa. Per concludere va precisato che il senso della riparazione di Beebe è un concetto molto diverso da quello kleniano e da quella corrente in psicoanalisi. Nella teoria kleniana, il contesto in cui avvengono le riparazioni è quello depressivo, dove l'oggetto è stato attaccato e quindi risarcito, nell'atmosfera della colpa. Il contesto proposto dalla Beebe, invece, è interattivo, e richiama una metafora artigianale: aggiustare qualcosa di rotto. La Klein introduce un movimento intrapsichico, che pone in primo piano la tessitura della colpa e della preoccupazione per aver danneggiato l'oggetto in fantasia: rispetto a questo fa una riparazione e passa dalla posizione schizoparanoide a quella depressiva dove l'oggetto è intero e non scisso. Beebe quando parla di rottura, introduce, invece, un comportamento interattivo, che mostra la disconnessione della relazione, la rottura avvenuta e, propone una variante che riduce lo strappo: non postula necessariamente che la rottura abbia arrecato un danno all'interazione, anzi la vede come un processo per un possibile cambiamento.

Considerazioni cliniche

Partiamo da un discorso basilare ovvero che Il presente è esperienza, Sé in azione, esperienza che subito si accresce del pensiero, di una riflessione su se stessa e diventa così esperienza riflessiva a sua volta, filo costitutivo del sentimento di sé. Prendendo spunto da Edelman (1989) con la sua espressione, come vedremo più avanti nel libro, “presente ricordato”, alla percezione del presente che ci arriva attraverso gli occhiali della memoria, potremmo parlare di un passato presentificato, di un passato sempre aggiornato dal presente e nel presente. Il problema del presente non è sul “che cosa” ma sul “come” ovvero come ci rapportiamo all’esperienza del presente? Se intendiamo il presente della relazione psicoanalitica come un dibattito dal ritmo frenetico del batti e ribatti su temi di attualità, ovviamente dobbiamo consegnare le armi: quello che ci sta di fronte non è più psicoanalisi. Se intendiamo invece il presente della seduta, ovvero quel dibattito in corso, quel batti e ribatti su temi reali attuali, descritti sopra, come quell’unica frazione di tempo significativa, quell’attimo vivo presente ed interattivo che contiene tutto lo spicchio di passato riattivato e guarda al futuro del paziente, allora molto probabilmente stiamo parlando di psicoanalisi. Questo verrà maggiormente chiarito ed approfondito nel corso del libro, soprattutto quando tratteremo della “trasformazione in gioco” descritta da Ferro. La Beebe afferma:” Anziché vedere questi principi come operanti in modo separato, preferiamo considerarli insieme. Per esempio, è necessario che sia all’opera un modello di regolazione attesa perché una rottura possa essere percepita. La stessa sequenza di rottura può diventare a sua volta un modello interattivo atteso. I momenti affettivi intensi possono fungere da rottura o riparazione, a seconda dei casi. Quindi, bisogna considerare tutti e tre i principi per avere un quadro completo del potenziale organizzativo dell’interazione (Beebe e Lachmann, 2002). Secondo quest’impostazione teorica ci sono quindi tre percorsi privilegiati, tre direttive principali, dominanti per la formazione delle rappresentazioni. Gli elementi dell’esperienza interattiva descritti poco sopra come salienti, quindi, non sono eventi mentali isolati, ma diventano salienti nel momento in cui sono organizzati interattivamente dai tre principi. Tempo, spazio, affetti e livello d’attivazione acquisiscono significato e salienza in quanto “mattoni” necessari per la realizzazione dei principi organizzatori fondamentali, che si collocano ad un livello superiore, più generale. Quando si parla di strutture mentali presimboliche s’intende che esse sono continue e dinamiche, non sono discrete e definite come lo sono invece, paradossalmente, le parole utilizzate per descriverle. Nel modello trasformativo utilizzato dai due autori, le rappresentazioni sono classificazioni, più o meno stabili, di informazioni organizzate su una sequenza interattiva attesa, sono un processo dinamico; precisamente, è proprio il processo interattivo ad essere rappresentato. Sono modellate dal processo attivo di costruzione e ricostruzione delle informazioni relazionali, di qualsiasi forma siano (temporale, spaziale, affettiva, propriocezione); possono riorganizzarsi e trasformarsi, dal momento che le informazioni in entrata vengono reinterpretate e riordinate sulla base delle esperienze passate e delle aspettative, delle anticipazioni degli andamenti futuri. La prevedibilità non risiede soltanto nel bambino, né soltanto nell’ambiente, quanto piuttosto nelle transazioni tra bambino e ambiente e nelle loro continue trasformazioni.

L’Interiorizzazione

Infine, allo scopo di chiarire il percorso degli studi di Beebe e Lachmann, vorrei esemplificare il proposito d’integrazione fra Infant research e psicoanalisi sopra accennato, con il concetto di interiorizzazione. Generalmente, con questo concetto s’intende il processo attraverso il quale le relazioni intersoggettive vengono trasformate in dinamiche intrapsichiche, un particolare processo che si basa sull’influenza dell’esterno sull’interno. Nel modello sistemico dei due autori, invece, ogni interazione eteroregolativa porta inevitabilmente con sé l’attività autoregolatoria dei due partner; anziché considerare la regolazione interattiva come “trasformata” in autoregolazione, si ritiene che autoregolazione e regolazione interattiva procedano di pari passo, s’influenzino a vicenda e si modellino reciprocamente. La regolazione interattiva [in un certo senso] è sempre stata interna, […] il bambino vi ha sempre partecipato e l’ha sempre vissuta (Beebe e Lachmann, 2002, p. 169): l’influenza è bidirezionale. Partendo dal presupposto che i processi fondamentali che regolano l'interazione a livello non verbale rimangono gli stessi per tutta la vita (ibidem, p. 20), essi applicano i principi di salienza al fine di comprendere il funzionamento delle regolazioni diadiche e il processo di co-costruzione delle interiorizzazioni in analisi (ibidem, p. 173). Tuttavia, dal momento che negli adulti la capacità di simbolizzazione e l'elaborazione soggettiva e inconscia dell'esperienza - in forma di fantasie, desideri e difese - modificano […] l'organizzazione e la rappresentazione dei modelli d'interazione (ibidem, p. 174), il modello sostenuto dai due autori, non avanza ipotesi sul contenuto dinamico dell'esperienza dell'adulto, ma si concentra esclusivamente sul processo di regolazione interattiva (ibidem). Questo tipo d'approccio, che si concentra sulla dimensione non verbale e implicita dell'interazione, volendo essere additivo e non alternativo alle concezioni psicoanalitiche dinamiche, è del tutto simile a quello di Stern (2004). In questa prospettiva diadica l'autoregolazione di ognuno dei due partner non è "isolata" intrapsichicamente, ma è profondamente dipendente e complementare rispetto alla regolazione interattiva, e queste due forme di regolazione concorrono a stabilire l'equilibrio dinamico del sistema terapeuta-paziente. Questo processo d'influenza reciproca e continua, si svolge regolarmente ad un livello implicito e non verbale. Paziente e analista si relazionano durante le sedute, facendosi implicitamente guidare ognuno dai propri principi di "regolazione attesa", modellati dalle interazioni passate e, sebbene l'analista possegga un maggior grado di flessibilità (Beebe e Lachmann, 2002, p. 175), entrambi concorrono attivamente, momento per momento, a regolare lo scambio (ibidem). Intrinseco ad ogni modello o schema relazionale prototipico, vi è un'aspettativa circa l'andamento dell'interazione e le reazioni dell'altro soggetto; il modello teorico di Beebe e Lachmann pone particolare rilievo all'influenza reciproca dei due membri della diade: in ogni partner si organizzano aspettative sul grado in cui egli influenzerà o non influenzerà l'altro, e verrà o non verrà influenzato dall'altro, in vari modi. Tali aspettative specificano il grado di efficacia interattiva (ibidem). A questo livello d'analisi, l'oggetto di studio è la struttura del dialogo in sé, a prescindere dal contenuto verbale (ibidem, pp. 175-176). Il dispiegarsi delle aspettative d'influenza reciproca nel setting analitico, agevola una riequilibrio dello stato del sistema intersoggettivo e, anche in assenza di un'indagine verbale esplicita della struttura dell'interazione, le aspettative relazionale del paziente possono essere modificate: noi ipotizziamo che il principio di regolazione attesa possa promuovere nuove aspettative e nuove modalità di azione terapeutica (ibidem, p. 175). Ricordando che, in sostanza, il "principio di regolazione attesa" è una rappresentazione prototipica dell'interazione (una specie di sintesi o una media delle relazioni ricorrenti), si può comprendere come i due autori sostengano, che le regolazione interattiva della diade analitica possa modificare tali rappresentazioni, anche senza l'ausilio dell'interpretazione verbale da parte del terapeuta. Analogamente, per quanto riguarda il "principio di rottura e riparazione", il quale è una particolare estensione del principio di regolazione attesa, solo che, invece di rappresentare ciò che è prevedibile nell'interazione, esso organizza le violazioni delle aspettative e il conseguente sforzo di risolvere tali rotture (ibidem, p.176), rappresenta nel contesto psicoterapeutico la possibilità di negoziare con più flessibilità il grado di coordinazione reciproca nel processo di autoregolazione e regolazione interattiva (ibidem, p. 177). Pertanto, le "rotture" non sono viste come conseguenze, puramente intrapsichiche, delle resistenze da parte del paziente, piuttosto che del controtransfert dell'analista, ma co-determinate dalla diade. Infine, il "principio dei momenti affettivi intensi" descrive l'esperienza di potenti stati trasformativi, che offrono l'opportunità di vivere nuove esperienze emotivamente intense, le quali possono aprire nuove strade nel percorso psicoterapeutico. Essi sono costruiti congiuntamente dalla coppia analitica e consentono di modificare le aspettative sull'andamento relazionale, sia nel terapeuta sia nel paziente. In quest'ottica, il processo di simbolizzazione può esercitare una profonda influenza sul livello d'azione implicito (Beebe e Lachmann, 2002, p. 203), perciò le simbolizzazione del livello d'azione implicito può essere considerata uno degli obbiettivi principali della psicoanalisi (ibidem), in quanto favorisce un'integrazione tra livello implicito ed esplicito, necessaria per una comprensione più piena dell'azione terapeutica (ibidem, p. 212). Questa concezione che studia le relazioni profonde (bambino-madre, paziente-analista) nella loro coordinazione, complementarietà e co-determinazione, è talmente radicata nel modello teorico di Beebe e Lachmann, che i due arrivano a proporre: Nella nostra prospettiva sistemica, in cui l'esperienza viene continuamente co-costruita e ogni componente viene definita in relazione alle altre, preferiamo i termini "autoregolazione" e "regolazione interattiva" a quelli di "Sé" e "altro" (Beebe e Lachmann, 2002, p. 208). Conseguentemente, questo modello di equilibrio tra autoregolazione e regolazione interattiva, modifica l'atteggiamento clinico dei due autori: Secondo questo modello, il clinico osserva due processi dentro di sé (autoregolazione e regolazione interattiva) e ne inferisce due nel paziente. L'analista è impegnato attivamente a comparare le sue inferenze dei due processi nel paziente con l'esperienza che ne fa il paziente. Le discrepanze tra le inferenze del terapeuta e l'esperienza del paziente sono particolarmente interessanti. Al tempo stesso, il terapeuta cerca di continuare a osservare i due processi dentro di sé (Beebe e Lachmann, 2002, p. 209). L'obbiettivo del processo terapeutico, sarà quindi quello di consentire livelli intermedi e flessibili di autoregolazione e regolazione interattiva (Beebe e Lachmann, 2002, p. 206), secondo il "modello di equilibrio intermedio", il quale stabilisce: un livello medio ottimale di autoregolazione e di regolazione interattiva, in cui la coordinazione può essere presente ma non obbligatoria, e l'autoregolazione è mantenuta, ma non è eccessiva. Lo sviluppo sociale e comunicativo ottimale dipende dalla flessibilità con cui si passa dall'autoregolazione alla regolazione interattiva, che favorisce livelli relativamente ottimali di attenzione, affetto e attivazione (Beebe e Lachmann, 2002, p. 200). Per concludere le nostre riflessioni prendiamo spunto dalle annotazioni critiche di Mancia (2004). Mancia (2004), facendo riferimento ad alcuni suoi casi clinici, cita direttamente il lavoro in particolare di Stern e del Boston CPSG, e sottolinea come i «momenti di incontro», che possono essere l’equivalente dei momenti di affetto intenso della Beebe, possano favorire il lavoro interpretativo, ma ciò che, secondo l'autore, rende terapeutico l'incontro intersoggettivo, continua a essere la creazione di un ponte tra il «qui e ora» costruttivo della seduta e il «là e allora» ricostruttivo dello sviluppo della sua mente [del paziente] (ibidem, p. 83). Come appena accennato, “si tratta di una ricostruzione sui generis, dal momento che le esperienze archiviate in questo sistema di memoria non possono comunque essere «ricordate»” (Mancia, 2004, p. 72). Continua Mancia (2004) “La psicoanalisi è efficace perché permette di ri-vivere il passato, magari traumatico, e di comprenderlo, probabilmente per la prima volta. Questo processo si concretizza nella relazione intersoggettiva tra paziente e analista, attraverso due preziosi strumenti funzionalmente interconnessi, quali sono la realizzazione del transfert e l'interpretazione dei sogni.” Mancia (2004) “ Il transfert, strumento specifico della psicoanalisi viene definito come una situazione relazionale trasferita dal passato al presente, e nello stesso tempo come proiezione nel presente dell'analisi di oggetti interni del paziente, cioè rappresentazioni arcaiche inconsce cariche di affetti (ibidem); e ancora, il transfert è una situazione relazionale totale […] trasferita dal passato al presente, che permette al paziente di comunicare e rappresentare lo stato attuale dei propri oggetti interni in relazione all'analista e il suo collegamento con il passato. Da questo punto di vista il "momento presente" analitico è certo importante, ma perché in esso può essere rappresentato il passato.” Anche secondo Mancia, infatti, il processo terapeutico può apportare modificazioni nella conoscenza relazionale implicita, ma questo fatto non è "curativo" in sé, è considerato piuttosto come il primo indispensabile passo verso una comprensione "cognitiva" di significati profondi e arcaici. Possiamo precisare che il discorso di questa importante branca americana di ricerca abbia aperto un filone di studi dove la clinica psicoanalitica dovrà confrontarsi con gli elementi impliciti della relazione paziente terapeuta, e che lavorare su di essi è necessario ai fini delle patologie gravi di disturbo della regolazione affettiva. Migliorare la base relazionale implicita diventa essenziale, l’unico neo di questa corrente è che quando parla di autoregolazione non si spinge, o non è abbastanza chiaro, nel passo successivo, che è quello di come fare ad interiorizzare in uno spazio soggettivo, nel Sé, tutti questi processi. Afferma Neri (2007) “Gli psicoanalisti italiani, per un’antica tradizione che risale a Federn e Weiss e che è stata portata avanti da Perrotti, Musatti e Servadio, sono stati allenati a monitorare momento per momento ciò che accade in seduta; in particolare il mutare di sensazioni, atmosfere, vissuti corporei. Essi cercano con costanza il contatto emotivo con il paziente, seguono accuratamente il minuto scambio – fatto di silenzi, gesti, cambiamenti nello spazio e mutamenti della postura – tra il paziente e loro stessi, che sostiene, modifica e mette a punto la relazione terapeutica. Segnalo di passaggio come questa attenzione è ripresa in studi molto recenti ed in particolare da quanto indicano gli psicoanalisti che partecipano al Boston Change Process Study Group“. Infatti le percezioni vengono annotate nella mente dell’analista come osservazioni utili per seguire lo sviluppo della seduta; esse però possono anche non essere annotate come osservazioni, ma trasformate in immagini, fantasie e narrazioni che al momento opportuno potranno venire condivise (o meno) con il paziente. Questo dice Neri (2004) ha creato “ un cambiamento della tecnica classica: la ricettività dell’analista, l’attenzione per il contesto, le trasformazioni che opera sugli elementi non-verbali (extra-verbali, ultra-verbali), la tolleranza per il dubbio divengono un’importante chiave terapeutica assieme alla capacità d’interpretazione e soprattutto alla capacità di modulazione interpretativa.” Proprio su questa questione ci verranno in aiuto tre grandi psicoanalisti che tratteremo nel prossimo capitolo: Winnicott, Bion e Kohut e il postbioniano Antonino Ferro.

Il modello dell'espansione diadica di coscienza di Tronick

Questo modello sostiene che nel contatto emotivo avviene un allargamento della coscienza. Specifici stati affettivi emergono solo all'interno di una qualsiasi interazione, per esempio quella del bambino con la propria madre. Questi stati affettivi da soli non possono essere prodotti cioè essi non sono né nel bambino né nella mamma, ma sono nell'interazione tra i due, la quale trasferisce il suo clima affettivo e cognitivo dentro l'individuo includendo lo stato dall'altro, il processo appunto dell'espansione diadica dello stato di coscienza. Il bambino, per esempio, che si sente rassicurato dalla madre, prende dentro di sé questo stato affettivo espandendo il senso di sé e del mondo, un senso inaccessibile da solo senza quella esperienza specifica con la propria madre che lo rassicura. Ecco perché gli esseri umani ricercano con forza il contatto emotivo, perché non possono espandersi da soli, perché il cervello non cresce senza l'interazione con l'ambiente o perché restiamo limitati allo sviluppo raggiunto se non seguono esperienze di espansione che ci fanno crescere. Quindi la risposta alla domanda di cosa rende tanto importante la relazione con gli altri sta proprio nel bisogno e nella forza che guida verso il contatto emotivo con l'altro per acquisire significato e quest'incontro ha effetti sullo stato di coscienza che si espande includendo lo stato dell'altro che incontriamo. Questo modello della regolazione reciproca dell'espansione diadica si offre alla comprensione non solo dello sviluppo infantile ma si estende a tutte le età in quanto ad ogni età si continuano le interazioni per la costruzione del nostro significato e della nostra visione soggettiva del mondo. E' il potere della relazione fra soggetti che può creare anche casualmente le opportunità per connessioni che facilitano l'acquisizione di significato e la conseguente espansione della soggettività. L'indagine in terapia quando facilita questo processo di connessioni che arricchiscono il nostro senso del mondo diventa un luogo privilegiato per la nostra espansione affettivo/cognitivo. All'uso della parola nella terapia ora si aggiunge anche la modalità mentale implicita. Questo processo di espansione sicuramente può essere visto all'interno dei passaggi nella terapia da stati affettivi presimbolici e preverbali indifferenziati ad una espansione di questi stati affettivi in simbolici e verbali attraverso l'interazione con lo stato mentale del terapeuta.

I processi di sviluppo della capacità di regolazione emotiva.

Possiamo schematicamente proporre la seguente linea di sviluppo: 1- Da 0 3 anni la regolazione affettiva è guidata dal caregiver. L’adulto impara a conoscere il suo bambino e a sintonizzarsi con i suoi segnali emotivi, capisce quali sono le strategie che funzionano ed acquisisce un importante senso di efficacia e di adeguatezza. In questo stesso periodo i bambini evidenziano una sorta di riconoscimento biologico nei confronti di chi si prende cura di loro, rivelando una sensibilità alle modalità fisiche ed immediate di accudimento: in particolare i bambini mostrano un migliore adattamento quando le situazioni prevedono risposte contingenti e quando le abitudini sono coerenti. 2- Dai 3 ai 6 mesi la regolazione diadica è guidata dal caregiver. In questo periodo compare il sorriso sociale, e il bambino diventa un essere sempre più capace di coinvolgersi con l’ambiente circostante adottando modalità selettive nella ricerca degli stimoli. La madre nelle interazioni quotidiane tenta di rispondere ai segnali del bambino attribuendogli un’intenzionalità di cui ancora non risulta capace. Tuttavia è proprio attraverso questa gioco di finzione che il bambino sarà in grado poco più tardi di mettere in atto un comportamento veramente intenzionale. L’azione di regolazione dell’adulto fa sì che il bambino divenga in grado di interessarsi alla novità per un periodo sempre maggiore di tempo, mantenendo un’organizzazione comportamentale adeguata di fronte a stimoli nuovi. Inoltre, il bambino inserito in queste routine con il caregiver impara a crearsi delle aspettative circa il comportamento altrui e a sperimentare un senso di reciprocità. 3- Segue dai 6 ai 12 mesi, il periodo della regolazione diadica delle emozioni: in questa fase il bambino è dotato di vera intenzionalità, esprime segnali e compie azioni dirette ad uno scopo, diventa perciò completamente attivo in un dialogo reciproco nel quale entrambi i partner iniziano la relazione e rispondono ai segnali dell’altro. Il bambino si percepisce come capace di avere un impatto sull’ambiente e diviene in grado di modulare la tensione provata richiamando l’attenzione degli altri, o evitando di rivolgersi alla figura di accudimento tenendola progressivamente sempre più a distanza. Queste convinzioni-sentimenti consentono al bambino di mettere in atto tentativi per modulare la propria emozione e, se questi falliscono, di rivolgersi ad altri. 4- La fase successiva, dai 12 ai 18 mesi, è caratterizzata da una autoregolazione guidata dal caregiver. I progressi a livello di sviluppo cognitivo, motorio e sociale consentono al bambino di acquisire una maggiore consapevolezza di sé, una capacità di auto-riconoscimento, un comportamento sempre più autonomo derivato dall’acquisita deambulazione e la consapevolezza di alcune norme sociali. Il bambino sviluppa, quindi, la capacità di regolare le emozioni in modo differenziato a seconda dei diversi contesti: a volte egli è in grado di autoregolare le proprie emozioni, ma più frequentemente sperimenta questa capacità sotto la guida protettiva del caregiver. 5- L’ultima fase tra i 18 e i 30 mesi, è caratterizzata dall’inizio della regolazione autonoma: il bambino è in grado di esprimere o modulare le proprie emozioni in modo autonomo anche lontano dallo sguardo dell’adulto. Egli ha introiettato le norme esterne e le modalità di regolazione del caregiver. Il rapporto tra pari, che in questo periodo diviene significativo, richiede al bambino costanti sforzi per comprendere e regolare le proprie e le altrui emozioni. Il gioco simbolico o di fantasia diventa in questo periodo un’importante occasione di regolazione ed apprendimento della regolazione stessa. Giocando infatti il bambino può elaborare le emozioni dolorose, esprimere sentimenti forti in un contesto controllato, e condividere con altri le proprie emozioni anche se non in modo esplicito, co-costruendo un contenimento ad esse.