La regolazione psicobiologica tra i principali modelli di ispirazione psicoanalitica. - Associazione Essere Con
20 aprile 2017

La regolazione psicobiologica tra i principali modelli di ispirazione psicoanalitica.

La regolazione psicobiologica tra i principali modelli di ispirazione psicoanalitica.

A cura di Ivano Frattini

La regolazione psicobiologica tra i principali modelli di ispirazione psicoanalitica.

 

Winnicott:

[caption id="attachment_1556" align="alignnone" width="273"]Winnicott Winnicott[/caption]

Winnicott è stato forse il primo a sottolineare in modo deciso quanto la mente (e ovviamente anche il corpo) del bambino non potevano essere visti come un sistema isolato, ma come, specie nelle prime epoche di vita, madre e bambino formassero un sistema integrato, quello che oggi si chiama regolazione reciproca. Il concetto di oggetto transizionale fornisce un ponte tra la regolazione effettuata dalla madre e la possibilità di autoregolazione, situandosi nell'area intermedia (spazio potenziale) tra l'illusione di essere tutt'uno con la madre e la consapevolezza di essere da lei separato, tra la concretezza del contatto e il rappresentare simbolicamente l'oggetto assente. Se tutto procede bene anche l-oggetto transizionale viene interiorizzato e diviene parte della struttura psichica del bambino con funzioni di autoregolazione e di conforto. Occorre innanzitutto “fare ambiente” creare le condizioni necessarie per permettere al paziente di ritrovare il gusto dell’esperienza. Fare ambiente significa cercare di creare le condizioni prevedibili di spazio-tempo garantite dall’affidabilità del setting, del terapeuta incluso, in cui sia possibile fare sostare le emozioni per nutrirle, trattarle, e trasformarle, in altre parole fare esperienza di sé. Perché il bambino sviluppi in armonia la sua identità è necessario un ambiente “sufficientemente buono”, una madre-ambiente, cioè, capace di adattarsi al meglio ai suoi bisogni. All’inizio della vita la madre è per il neonato l’ambiente non ancora separato da Sé , perché per lui è fondamentale poter fruire di quella “continuità”, di quella “unicità somatica onnipotente” (Winnicott, 1989-1988) che ha visto andare in frantumi dopo la nascita. Riesce pertanto (Winnicott, 1961) a recuperare almeno in parte le esperienze fetali positive in presenza di una madre che sia in grado di riproporgli i vecchi ritmi. Di fornire al corpo sensazioni nuove, ma note. Questo si può chiamare il Sé sensoriale, un “Sé che va facendo esperienza di sé sulla base prevalente di sensazioni che, per la mente infantile in questo stadio, sono un prodotto di sé, create da sé” (Lanza, 2007). Questo permette, in qualche modo, di organizzare un senso mentale di totalità, tale da sostenere l’esperienza della frammentazione iniziale, e tenere coese le parti del Sé. Questo avviene sulla base della sensorialità attuale di reale contatto con la madre, che si rifà alle tracce mnestiche delle sensazioni corporee esperite precedentemente nelle fasi fetali. Il bambino gradualmente impara a separare l’ambiente da sé, il me dal non me. Questo avviene in contemporanea con la maturazione biologica, e all’acquisizione sempre più cosciente di quei canali sensoriali che gli permettono di interagire a distanza con l’ambiente esterno (vista, udito) che caratterizzano la separatezza. La madre deve, in questa fase permettere al bambino di compiere le sue esperienze sensoriali, aiutarlo a differenziarle, e favorire l’emergere del nuovo Sé, il Sé percettivo. Fase delicata in quanto il bambino comincia ad accorgersi del cambiamento, dello spazio, del tempo, della separatezza, e quindi emerge con forza la paura di frammentazione, non essendo ancora l’integrazione consolidata. Per Ogden (2008) l’holding di Winnicott è un concetto ontologico in cui è in gioco l’essere e la sua relazione con il tempo. La madre all’inizio della vita salvaguardia la continuità dell’essere del bambino., in parte isolandolo dall’aspetto “non me” del tempo. La maturazione implica l’interiorizzazione graduale da parte del bambino dell’holding materno della continuità dell’essere. Al contrario, il contenitore-contenuto di Bion riguarda l’elaborazione (sognare) dei pensieri derivati dall’esperienza emotiva vissuta. Il contenitore-contenuto si rivolge all’interazione dinamica di pensieri prevalentemente inconsci (il contenuto) e alla capacità di sognare e pensare quei pensieri (il contenitore). L’holding di Winnicott è evocativa di immagini di un madre che con sicurezza e tenerezza tiene tra le braccia il suo bambino, e quando il bambino è in uno stato di disagio lo tiene più stretto al seno. Ma L’holding, per Winnicott, è un concetto che va al di là di questa semplice immagine, anche se vera ed importante, come Ogden ha dichiarato esso è un concetto ontologico che egli usa per esplorare le qualità specifiche dell’esperienza dell’essere vivi in diversi stadi evolutivi, tanto quanto il cambiamento dei mezzi intrapsichici-interpersonali attraverso i quali è mantenuto nel tempo il senso della continuità dell’essere. La “continuità dell’essere “going on being” è la primissima qualità, per Winnicott, generata in un contesto di Holding. Questa è un’espressione fatta solo di verbi è priva di soggetto. Riesce a trasmettere il sentimento di un’esperienza dell’essere vivo da parte del bambino prima di essere diventato soggetto. Una delle principali funzioni del primo holding materno è quello di isolare lo stato di continuità del tempo del bambino, dall’inflessibile alterità del tempo. Quest’ultimo è il tempo creato dall’uomo; il tempo degli orologi e dei calendari, dell’allattamento ogni quattro ore, del giorno e della notte, degli orari lavorativi, della madre del padre, delle tappe evolutive come descritte nei libri sullo sviluppo. Il tempo in tutte queste forme dice Ogden (2008) è un’invenzione umana (anche l’idea di come si vive il giorno e la notte) che non ha niente a che fare con l’esperienza del bambino; il tempo è estraneo al bambino in uno stadio in cui la consapevolezza del “Non-me” è insopportabile e disruttiva per la continuità dell’essere. All’inizio, l’holding materno, assorbe l’impatto del tempo, con un costo fisico emotivo molto elevato da parte della madre (per esempio, rinunciandola tempo di cui lei ha bisogno per dormire, al tempo di cui lei ha bisogno per dormire, al tempo di cui ha bisogno per il rifornimento emotivo che trova nello stare con qualcuno che non sia il bambino, e al tempo per fare cose per se stessa senza il bambino). Quindi l’holding materno in un primo periodo implica che la madre entri nel senso del tempo del bambino, e trasformi in questo modo, al suo posto, l’impatto della diversità del tempo e crei sempre al suo posto l’illusione di un mondo in cui il tempo è misurato quasi interamente in termini di ritmi fisici e psicologici. Quei ritmi includono i ritmi del suo bisogno di sonno e veglia, del suo bisogno di relazione con gli altri e del suo bisogno di isolamento , i ritmi della fame e della sazietà, i ritmi del respiro e del battito cardiaco. Lo Stato emotivo della madre coinvolto nell’atto di mantenere (holding) il bambino nel suo stato precoce di continuità dell’essere è definito “preoccupazione materna primaria” (Winnicott, 1956). Questo anche è uno stato senza soggetto. Deve essere così perché la percezione della presenza della madre-come-soggetto strapperebbe il tessuto delicato che costituisce la continuità dell’essere del bambino. Nella preoccupazione materna primaria la madre si mette al posto del bambino, non c’è niente come una madre. La madre si mette al posto del suo bambino e nel fare questo annulla se stessa non solo per come lei stessa fa esperienza di sé. Tale stato psicologico è “quasi una malattia” (Winnicott 1956) “ una donna deve essere sana per poter raggiungere questo stato sia per uscirne quando il bambino la lascia libera” (Winnicott, 1956). Quando un bambino cresce la funzione di holding del bambino cambia dal salvaguardare il tessuto della continuità dell’essere del bambino al mantenere/sostenere nel tempo il modo di essere in vita del bambino più rivolto all’oggetto. Qui l’holding iniziale, fisico/emotivo, darà luogo ad un holding metaforico/esistenziale e narcisistico, ovvero il fornire uno spazio psicologico che nasce dal fatto che il terapeuta è in grado di tollerare il sentimento che ci dice che non è stato fatto nessun lavoro analitico. Winnicott ci dice di essere ininterrottamente quello spazio umano in cui il paziente diventa integro. L’esperienza del fenomeno transizionale e la capacità di stare solo possono essere considerati aspetti del processo di interiorizzazione della funzione materna di mantenere una situazione emotiva nel tempo. Nello spazio transizionale, la successiva tappa dell’holding, quindi Winnicott vede in questa terza area dell’esperienza-l’ area tra la fantasia e la realtà, ovvero l’origine del simbolismo nel tempo. La capacità di essere solo, come lo sviluppo del fenomeno transizionale, implica l’interiorizzazione di una madre come ambiente che mantiene una situazione nel tempo. L’esperienza fondamentale che sta alla base dello stabilirsi della capacità di essere solo è “l’esperienza di essere solo, da infante e come bambino piccolo in presenza della madre” (Winnicott, 1958). Quindi per Winnicott la capacità di stare solo implica di aver acquisito nella propria mente lo strutturarsi di un ambiente di holding interno.

 

Bion

[caption id="attachment_1555" align="alignnone" width="301"]WILFRED BION WILFRED BION[/caption]

 Diverse teorie psicoanalitiche del passato hanno esplicitato le funzioni regolatrici dei cosiddetti oggetti interni (Klein, Fairbairn, Kernberg, Balint, ecc). Un autore in particolare Bion con la sua teoria sulla funzione alfa e della reverie materna quello che più si approssima ad un modello di regolazione e di interiorizzazione della regolazione. Anche se in un certo modo accadeva ad altri autori psicoanalitici che hanno dato importanza più alla relazione che alle pulsioni, manca quella caratteristica di reciprocità che caratterizza invece i modelli psicoanalitici più recenti, in particolare quelli legati alle teorie dell' Infant Research. Anche Bion sembra convergere con Winnicott quando affida la possibilità evolutive allo sviluppo di una funzione psichica (la funzione alfa) deputata a convertire i dati sensoriali (protomentali-elementi Beta) in elementi Alfa . Lo sviluppo della funzione alfa è interamente affidata alle vicende delle primitive relazioni madre-bambino, dove un ruolo fondamentale viene affidato alla funzione di Reverie materna, descritta da Bion come quella capacità da parte della madre di trattare i dati sensoriali inelaborabili dalla coscienza rudimentale del bambino. La reverie è per Bion l'organo recettore della madre della massa di dati sensoriali sul proprio Sé raccolti dalla coscienza del neonato che, proprio perché non in grado di elaborarli da solo evacua (attraverso l'uso della identificazione proiettiva) dentro la madre affinché li digerisca e li restituisca al bambino carichi di senso, e quindi pensabili: il che conferisce ad essi qualità emotive positive. Se la proiezione delle angosce intollerabili non viene accolta dalla madre, il neonato sente che la sua sensazione di stare per morire (piuttosto che venire metabolizzata in sua vece) viene spogliata del suo peculiare significato: reintroietta non una paura di morire resa tollerabile ma un “terrore senza nome. Il fenomeno psicosomatico sarebbe allora una particolare forma di acting, di proiezione “intrasomatica”, in quanto le impressioni sensoriali e/o le esperienze emozionali primitive, non potendo essere mentalizzate vengono proiettate sul corpo. Dato che il bambino nella sua mente non si è ancore differenziato dal corpo, mente e corpo possono funzionare come un tutt'uno e il pensiero rimane concreto e autosensuale. Per Bion la “funzione alfa” trasforma le grezze “impressioni sensoriali collegate all’esperienza emotiva” in elementi alfa che possono essere collegati per formare sogni-pensieri carichi di affetti. Un sogno-pensiero presenta un problema emotivo col quale l’individuo si deve confrontare, fornendo così lo stimolo per lo sviluppo della capacità di sognare (che è sinonimo di pensiero inconscio). Bion (1971)“I [sogni] – pensieri richiedono un apparato che li tratti... il pensare [sognare] deve essere chiamato in esistenza per trattare con i [sogni]-pensieri». In assenza della funzione alfa, come afferma Ogden (2017), (la propria o quella fornita da un’altra persona), un individuo non può sognare e quindi non può fare uso della (fare lavoro psicologico inconscio con la) propria esperienza emotiva vissuta, passata e presente. Conseguentemente, una persona incapace di sognare si trova bloccata in un mondo immutabile e senza fine riguardo a ciò che è. L’esperienza che non può essere sognata può aver avuto origine in un trauma – un’esperienza emotiva insopportabilmente dolorosa come la morte precoce di un genitore, la morte di un bambino, un combattimento militare, uno stupro o imprigionamento in un campo di sterminio. Ma un’esperienza che non può essere sognata può anche derivare da un “trauma intrapsichico” – l’esperienza di essere sopraffatto da una fantasia cosciente o inconscia. Quest’ultima forma di trauma può derivare dal fallimento della madre nel contenere adeguatamente il bambino e nel contenere le sue ansietà primitive, o da una fragilità psichica costituzionale che rende nell’infanzia e nell’adolescenza un individuo incapace di sognare la propria esperienza emotiva, anche con l’aiuto di una madre sufficientemente buona. L’esperienza che non può essere sognata – sia in conseguenza di forze prevalentemente esterne oppure intrapsichiche – rimane con l’individuo come “un sogno non sognato” in forme come disturbo psicosomatico, psicosi scissa, stati anaffettivi (McDougall, 1984), sacche di autismo), gravi perversioni e tossicodipendenze (Ogden 2017). Bion è sempre stato preoccupato della capacità della persona di comunicare ad altri l’ineffabile( cioè l’inarticolabile, l’indescrivibile) l’irrappresentabile. Come fa il neonato a comunicare alla madre la fame, la paura di morire, la solitudine o il terrore? Dalla madre il bambino interiorizza la capacità di formare delle “immagini” visive da protosensorialità e protoemozioni e riesce così a personalizzare/soggettivare la realtà, ad assegnargli un significato personale. Come le cellule del corpo, anche quelle della spiche si devono costantemente rigenerare. La funzione che presiede a questa attività è la funzione alfa, la capacità di trasformare sensorialità per dare immagini emotivamente significative, non percezioni pure. Il sé non è conquistato una volta per tutte. Il sognare ripara e costruisce la pelle psichica, la pellicola di significato che ci protegge dagli urti della realtà. Il contributo più importante di Bion, dice Ferro (2013) è l’aver dichiarato l’esistenza di un “pensiero onirico della veglia”. C’è un sogno che si svolge di continuo nella nostra mente. Esso è la risultante dei processi mentali che avvengono sotto la funzione Alfa che opera, come abbiamo visto, su tutti i dati percettivo-sensoriali. Le senso-percezioni, chiamate da Bion elementi Beta vengono trasformati dalla funzione Alfa in elementi alfa, ovvero in pittogrammi emotivi che istante dopo istante sincretizzano in una immagine tutti gli elementi beta presenti, non ha importanza da dove essi provengono, dal soma, dai sensi, dalla nostra psiche da quella altrui, dall’ambiente. Strumento principe per l’attivazione della funzione alfa nell’analista , ci dice Bion, è la Reverie. La reverie va distinta in vari modi: a flash quando è istantanea, a lungometraggio quando nasce da una connessione di vari momenti di reverie, oltre quella continua attività di lavoro assuntivo/trasformativo fatto al di fuori da ogni consapevolezza. La reverie, dice Ferro (2013) è differente dalla metafora che presuppone chiarezza e pertinenza al tema trattato. La reverie invece nasce a monte dell’interpretazione, mentre la metafora di solito la completa, in qualche modo la ispira, la suggerisce. E’ da essa che l’interpretazione trae ispirazione. E’ un’immagine che si crea nella mente (spontaneamente e non su commissione) e la cui difficoltà sta nell’organizzarla in una comunicazione pertinente, chiarificatrice, che non è frutto di un’enciclopedia(cioè di una raccolta di metafore passibili) ma è creata lì per la prima volta, quasi uno spezzone piccolo di sogno, anzi decisamente un pittogramma visivo, frutto di quel pensiero onirico della veglia continuamente prodotto, la metafora interviene in uno stato meno nascente, più a valle quando siamo già ai derivati narrativi, è un allargamento della narrazione. Il paziente di Bion deve essere contenuto analiticamente ed essere così in grado di patire, e non sopportare con determinazione ma ciecamente, la sofferenza delle esperienze emozionali. Ogni volta dice Bion che il paziente percepisce (patisce) la propria sofferenza emotiva, si ricongiunge al suo Sé più profondo ed evolve. Se si dovesse riassumere l’essenza delle novità di Bion, Grotstein (2007) direbbe che ha portato la psicoanalisi positivistica di Freud e della Klein nei territori nuovi ed incogniti dell’incertezza, affrancandola dai lacci e dalla gabbia del linguaggio verbale per condurla nel campo al di là e al di qua del linguaggio. In questo senso Bion propone uno schema unidirezionale, che va da beta verso alfa. Grotstein (2000) invece afferma che il bambino nasce con una funzione alfa rudimentale ereditata con cui è preparato a generare comunicazioni pre-lessicali e a ricevere comunicazioni lessicali prosodiche da parte della madre Quindi per Grotstein non vi è più un movimento lineare da beta ad alfa, bensì un perpetuo oscillare beta<>alfa senza che vi sia un punto di arrivo. Grotstein si domanda infine, se esista davvero una “trasformazione” da beta ad alfa ma che siamo noi a modificare di continuo il nostro modo di percepire beta ed alfa. Questo pensiero è in linea con i riferimenti teorici di questo libro ed anche con il pensiero della Bucci che parla non di trasformazioni, che presupporrebbero dei passaggi un po’ magici ma di connessioni continue in varie direzioni. Lei parla non di beta ma di schemi subsimbolici che si connettono con gli schemi di pensiero simbolici prima non verbali simbolici (le immagini) e poi verbali simbolici (se cambiamo in linguaggio bioniano elemento beta> pittogrammi affettivi> Funzione alfa). Quindi sarebbe forse meglio parlare di connessioni continue bidirezionali continue e non di trasformazioni a moto rigido lineari. L’idea di contenitore-contenuto di Bion si rivolge non a ciò che pensiamo ma al modo in cui pensiamo cioè a come elaboriamo l’esperienza vissuta e a cosa avviene psichicamente quando non siamo in grado di fare lavoro psicologico con quell’esperienza. Il contenitore non è una cosa, ma un processo. E’ la capacità di fare lavoro psicologico inconscio del sognare, operando in accordo con la capacità del pensare come in un sogno preconscio (reverie) (Bion 1978). Per concludere il contenitore-contenuto coinvolge un’interazione dinamica tra pensieri onirici (il contenuto) e la capacità di sognare (il contenitore). Contenitore e contenuto sono fortemente, muscolarmente, in tensione l’uno con l’altro, coesistendo in uno stato di mutua dipendenza. Possiamo presupporre che per far si che questa funzione alfa che si manifesta attraverso il rapporto contenitore-contenuto possa accadere se si riesce a creare quello spazio transizionale di cui parla Winnicott. Un’area di mezzo (spazio transizionale tra il soggetto e l’oggetto. Nello stato di holding,  c’è una simbiosi dove soggetto e oggetto sono pressoché la stessa cosa, o vengono vissuti come se fossero la stessa cosa,  quindi non danno modo affinché si formi quello spazio sufficiente affinché si formi a quell’area intermedia transizionale, che separa e unisce, il soggetto e l’oggetto, per far sì che si instauri quella tensione dialettica (funzione alfa) fra il contenitore e il contenuto.

 

 

Kohut e la psicologia del Sè.

[caption id="attachment_1557" align="alignnone" width="210"]Heinz Kohut Heinz Kohut[/caption]

La regolazione viene effettuata dal sistema Sé/Oggetto Sé. Rispetto ad altri modelli c'è una maggiore enfasi sul soddisfacimento dei bisogni del Sé da parte degli Oggetti-Sé, quindi una maggiore responsabilità assegnata all'accudente rispetto al contributo del bambino e ad un'idea di maggiore concordanza. Anche se autori successivi come Bacal hanno sottolineato la necessità che anche il bambino si presti a svolgere funzioni di Oggetto-Sé nei confronti del genitore. Rispetto al problema dell'interiorizzazione a seguito di “fallimenti ottimali”, il bambino gradualmente abbandona la fusione con l'oggetto primario, ed interiorizza il sistema sé/Oggetto-Sé, anche se continuerà ad avere rapporti con oggetti-sè più maturi. Kohut si rese presto conto che il vissuto dei pazienti narcisistici non poteva essere letto attraverso la cornice teorica classica del conflitto, che finiva così per non affrontare le dimensioni cruciali dell’esistenza dei pazienti narcisistici: Grandiosi e pieni di sé esteriormente, ma con un vissuto cronico di vuoto e inadeguatezza. Questo lo porta a rivedere la teoria freudiana del narcisismo (primario e secondario): L’amore per il sé è davvero nemico dell’amore per gli altri? Non potrebbe essere che i sentimenti positivi verso sé contribuiscano a rendere più ricchi e vitali gli incontri con gli altri? “ Per lo più sinora è stato operante il tacito presupposto, anche se spesso negato in sede teorica , secondo cui la capacità di amore oggettuale è il segno della maturità emotiva. Ciò implicava sempre che lo sviluppo normale conduce dalla cura di sé alla cura per oggetti, dall’interesse per sé all’interesse per gli altri, e più semplicemente dall’egoismo all’altruismo” “In sede teorica si è spesso affermato che il termine narcisismo non è un giudizio di valore”. “Ciò che ho presente è il fatto che, fino a tempi recenti, il narcisismo veniva considerato negativamente dal punto di vista di un aprioristico giudizio di valore. Ci sono infatti molte forme di narcisismo, come ci sono molte forme di amore oggettuale, alcune carenti sotto il profilo dell’adattamento. Considerato in sé il narcisismo non deve essere confuso con una condizione che sia in termini valutativi meno positivo dell’amore oggettuale Il narcisismo non si contrappone alle relazioni oggettuali; non è il contrario dell’amore oggettuale; alcune delle più intense relazioni oggettuali sono essenzialmente narcisistiche. Il narcisismo deve essere valutato, in stretto parallelismo con l’amore oggettuale, negli stessi termini evolutivi e maturativi: presenta un ordine evolutivo da un prima a un dopo, da primitivo a sviluppato, da immaturo a maturo. La comprensione dei vissuti dei soggetti narcisistici si può avere solo se si sposta l’attenzione sui problemi del primo sviluppo anziché sulle questioni relative al conflitto pulsionale (Deficit). Secondo tutti gli autori psicoanalitici la prima infanzia è caratterizzata da un vissuto che è stato definito di onnipotenza, grandiosità; secondo gli autori classici queste fantasie infantili rappresentano qualcosa di immaturo e irrazionale che bisogna superare per lo sviluppo di legami più realistici con gli altri. Secondo Kohut questo vissuto ha in sé una vitalità e creatività che spesso manca agli adulti; lo sviluppo di un narcisismo sano dovrebbe consentire di mantenere queste caratteristiche vitali, insieme alla capacità di stabilire dei legami maturi con gli altri. Il narcisismo è pienamente compatibile con intense relazioni oggettuali. Molte relazioni oggettuali servono a scopi narcisistici. Vi sono oggetti che hanno per noi una grande importanza ma che servono finalità narcisistiche. Il narcisismo è pienamente compatibile con intense relazioni oggettuali. Molte relazioni oggettuali servono a scopi narcisistici. Ha un grande significato distinguere fra relazioni oggettuali al servizio di finalità narcisistiche e l’amore per l’oggetto, che si ha quando l’altra persona è ardentemente desiderata, ma nello stesso tempo è riconosciuta e investita d’interesse, amore, libido in quanto essere umano indipendente con finalità proprie, indipendentemente dall’innalzamento dell’autostima. Anche se amore oggettuale e narcisismo seguono linee evolutive diverse, c’è sempre un certo rinforzo narcisistico in ogni tipo di amore oggettuale. Questo non significa tuttavia che ci sia continuità fra narcisismo e amore oggettuale Es. innamoramento: amore maturo‡ fantasie di fusione. Importante: la mera presenza o assenza di relazioni oggettuali non dice nulla sulla disposizione narcisistica del soggetto e dunque sulla natura dei rapporti. Due tipi di oggetto: Oggetti a cui è riconosciuto e permesso di essere diversi, di avere propri desideri e interessi; questi sono amati non solo a dispetto delle differenze, ma proprio a causa delle differenze che integrano la propria sfera d’interesse. Oggetti investiti narcisisticamente: interessano solo nella misura in cui servono ad alimentare le mete narcisistiche. Non c’è rapporto umano che non contenga insieme tracce di amore narcisistico e amore oggettuale. Oggetto-sé: ruolo svolto dalle altre persone nei confronti del sé in relazione ai suoi bisogni. Gli oggetti-sé devono essere visti come funzioni, più che come persone; la separazione dall’oggetto non può mai avvenire e lo sviluppo si configura pertanto come allontanamento da oggetti-sé arcaici per rivolgersi ad oggetti-sé maturi. Il sé sano si sviluppa all’interno di un ambiente che consenta di fare tre esperienze di oggetto-sé: oggetti che confermino l’innato senso del bambino di grandezza e perfezione (bisogni di specularità) oggetti da poter ammirare e idealizzare (bisogno di idealizzazione) oggetti che suscitino nel bambino una sensazione di essenziale uguaglianza con lui (bisogno di gemellarità). Lo sviluppo avviene contemporaneamente sia sull’asse narcisistico che sull’asse dell’amore oggettuale. I lattanti, crescendo, cercano di riconquistare la perduta perfezione del primitivo legame madre – bambino ricorrendo a due strategie: Sé grandioso e l’ Immagine genitoriale idealizzata. Il Sé bipolare quindi è capace di esprimere i propri ideali, le proprie ambizioni e i propri talenti. Questi precoci stati della mente contengono il nucleo del narcisismo sano e dovrebbero essere assecondati in modo tale da potersi trasformare lentamente da soli semplicemente attraverso il contatto con la realtà. Se nell’ambiente (sostegno) si presentano delle frustrazioni ottimali che il bambino riesce a tollerare, a poco a poco sarà in grado di ridimensionare le immagini esagerate del sé e degli altri fino a raggiungere proporzioni più realistiche. Il soggetto, attraverso il processo di interiorizzazione trasmutante, sostituisce gli oggetti-sé esterni attraverso l’interiorizzazione dei loro aspetti funzionali ed inizia a costruire la struttura interna di un sé solido e maturo. Il trauma si verifica quando (1) il bambino è trattenuto in una fase evolutiva o maturativa sebbene sia pronto a procedere in avanti o quando (2), viceversa, un gradino maturativo viene imposto troppo precocemente e improvvisamente. Esempi: 1. La madre persiste nel vedere il bambino come parte del proprio Sé corporeo in un momento in cui egli aspira a mettere alla prova la propria capacità d’iniziativa. Il bo aspira a vedere la madre come un essere che gode di una propria libertà e che non è immediatamente influenzato dai suoi stati d’animo. 2. La madre pretende dal bambino che egli di colpo rinunci a lei dopo essere stato totalmente coinvolto nel rapporto. Centrale è dunque la capacità empatica della madre, che le consente di cogliere il momento esatto in cui la separazione dall’oggetto è possibile. La mancata risposta empatica dei genitori causa un arresto dello sviluppo, che impedisce la trasformazione del Sé grandioso in sane ambizioni, e l’interiorizzazione dell’immagine genitoriale idealizzata come ideali e valori.

 

 I transfert di oggetto-sé

Il nuovo punto di vista adottato porta a rivedere le tecniche attraverso le quali ci si era avvicinati ai soggetti narcisistici; per comprendere sul serio la loro esperienza ci si deve mettere dal loro punto di vista. Immersione empatica o introspezione vicariante :“Definiamo i fenomeni mentali, psichici o psicologici se la nostra modalità di osservazione comprende l’introspezione e l’empatia come elementi essenziali”. Non è vero che i soggetti narcisisti non sono in grado di stabilire il transfert, ma sviluppano delle particolari forme transferali (analoghe ai tre tipi di esperienze con gli oggetti-sé dell’infanzia), in cui l’analista non viene vissuto come un essere separato ma come una necessaria estensione del sé debole e immaturo del paziente. Nei pazienti questo si traduce in tre tipi di transfert: Transfert speculare: il paziente si rivolge all’analista per ottenere una risposta di conferma; tale risposta empatica è mancata nel rapporto con la madre e questo ha comportato un frammentazione del senso di sé grandioso Transfert idealizzante: il paziente vive il terapeuta come se questi fosse un potentissimo genitore la cui presenza consola e risana; la madre non si è identificata empaticamente con il bisogno del bambino di idealizzarla o non si è offerta come modello degno di essere idealizzato Transfert gemellare: il paziente ha bisogno di essere esattamente come il terapeuta; è mancata la risposta empatica dei genitori ai desideri fusionali del bambino (che gradualmente si trasformano in un comportamento imitativo). Compito del terapeuta è entrare in empatia con i bisogni del paziente per comprenderli e soddisfarli parzialmente; come il genitore imperfetto deluderà il paziente permettendo ai transfert narcisistici di trasformarsi; obiettivo della terapia diviene pertanto la coesione del sé e non necessariamente la capacità di amore oggettuale. Il sé con Kohut diventa il “nucleo della personalità”, il centro dell’iniziativa umana che mira “alla realizzazione del suo proprio specifico programma di azione. Certamente l’esperienza controtransferale è necessaria per entrare davvero nel mondo interno del paziente. Questo non garantisce il raggiungimento di una buona empatia ( se si rimane identificati controtransferalmente ci si limita a ripetere una scena interna, senza poterla comprendere ed interpretare) ma l’essere passati attraverso l’esperienza del controtransfert elaborandola permetterà lo sviluppo di una empatia ampia e profonda. La resistenza maggiore è quella che si può chiamare “una paura di non ripetere”, il terrore di un cambiamento. Questo è collegato ad una struttura difensiva che agisce come “una resistenza ostinata al cambiamento smantellando e impedendo il consolidamento di nuove strutture dell’esperienza”. Piuttosto che essere evocato dal fatto di vivere il terapeuta come non responsivo o non empatico, esso viene scatenato quando il terapeuta viene percepito come un alleato affidabile nella indagine empatica nei recessi più profondi dell’esperienza soggettiva del paziente. Questa angoscia si presenta quando si sente che la terapia sta illuminando e minacciando qualche principio inconscio, di organizzazione dell’esperienza del sé , un principio in cui probabilmente continuava ad esistere l’essenza di un legame arcaico con agente delle cure primarie. Questa profonda resistenza al cambiamento tiene i pazienti imprigionati nei gulac della loro mente. Kohut ha sottolineato i bisogni di oggetto-sé del bambino, la sua lotta per vivere e riconoscere il sé come centro di iniziativa, ma questa attenzione su ciò di cui ha bisogno dall’altro può aver eclissato il modo in cui l’altro è assorbito nel sé ed agisce per sabotare dall’interno lo sviluppo e l’autonomia. L’accento su ciò che manca, sul deficit, per quanto importantissimo, può aver bisogno di essere controbilanciato dalla consapevolezza delle strutture psicopatologiche che sono presenti. L’articolazione da parte di Kohut dei bisogni d’oggetto-sé del bambino ha aiutato i clinici a vedere come le risposte erronee d’oggetto-sé da parte delle figure di riferimento vengono interiorizzate in modo tale che l’esperienza di sé della persona continua ad essere deviata , come un oggetto interno che perpetua risposte “Anti oggetto-sé” dall’interno distorte e dannose. Forse nelle formulazioni di Kohut questa era un’idea implicita ma non è stata mai resa esplicita da lui.

Considerazioni finali

Kohut e Bion benché molto distanti possono avere, secondo Mollon (2002) dei legami che li unirebbero. Come Kohut Bion dà rilievo all’empatia e alla responsività del caregiver/analista. Ma mentre il rispecchiamento di Kohut è modellato sulla risposta piena di ammirazione all’esibizionismo del bambino da parte dei genitori-“ Dopo che la separazione psicologica ha avuto luogo, il bambino ha bisogno del luccichio negli occhi della madre per conservare la coesione narcisistica- Bion sottolinea invece la risposta dei genitori alle angosce del bambino piccolo (genitore/funzione). La funzione alfa della madre che bonifica gli elementi beta angoscianti del bambino fanno capire chiaramente che qui Bion non parla della madre come di un oggetto d’amore rispecchiante, ma delinea alcune delle funzioni della madre necessarie per sostenere la psiche in evoluzione del bambino. Come Kohut anche Bion descrive i fallimenti empatici e di responsività emotiva. Il fallimento della madre a ricevere, pensare e disintossicare l’emozione del bambino piccolo (spesso aggiungendovi la propria angoscia) ha come risultato che il bambino viene lasciato senza una comunicazione significativa, ma con un “terrore senza nome”, con Kohut il fallimento empatico dell’oggetto-sé porta ad un’angoscia di frammentazione della coesione del sé. Ma credo che la cosa che li accomuna maggiormente sia che entrambi siano interessati alla responsività della madre al bambino, ed allo stesso modo a come il terapeuta ascolta il paziente. E’ ben noto il suggerimento di Bion (1971) di ascoltare senza il desiderio di trarne prematuramente un significato, di disporsi senza una mente “saturata”. Kohut in modo simile richiama: Niente interferisce in modo così drammatico con la possibilità profondamente un paziente quanto una conclusione prematura. Se si pensa di sapere, allora, ci si priva della possibilità di recepire tutta una serie di elementi con quel piacevole atteggiamento di perplessità e di attesa, fino al momento in cui compare una configurazione del tutto inaspettata” (1986). Tutti e tre questi autori vertono su un principio basilare evolutivo, che i genitori sufficientemente maturi dal punto di vista psichico assolvono al compito di essere una regolazione affettiva per il bambino supportandolo nelle criticità che incontra per forza di cose per via della sua ancora immatura ed incompleta organizzazione psicobiologica. Questo modello psicoanalitico è stato confermato anche dalla ricerca psicobiologica di Hofer (2014) che ha dimostrato come negli stadi diadici “simbiotici i sistemi omeostatici interni del bambino immaturi e in via di sviluppo, siano regolati a livello interattivo dal sistema nervoso della figura di accudimento più maturo e differenziato. Queste esperienze “somatopsichiche” regolate e non regolate con la figura di accudimento sono registrate e conservate nella memoria implicita che si forma precocemente nell’ambito del sistema orbitofrontale e delle sue connessioni corticali e sottocorticali come rappresentazioni interattive. Queste vanno a formare il primo nucleo del sé implicito che creerà l’inconscio non rimosso, che andrebbe distinto dalle memoria implicita ( vedi paragrafo sull’inconscio non rimosso).