DISTURBI DELLA REGOLAZIONE AFFETTIVA CON FUNZIONALITA’ PSICO-SOMATICA E SOMATO-PSICHICA
A cura di Ivano Frattini. Cercherò in questo lavoro di descrivere le varie tipologie di funzionamento mentale (somato-psichico e psico-somatico) che il nostro gruppo ha evidenziato nelle sue esperienze teorico-cliniche nello studio e la ricerca dei di disturbi della regolazione affettiva. Partiamo dalla descrizione di Alessitimia che è il costrutto base da dove iniziare questo discorso in quanto è l’ossatura presente in entrambe le condizioni.. 1- Alessitimia e regolazione affettiva Sifneos coniò negli anni settanta il termine alessitimia (dal greco A= mancanza, lexis=parola, Thymos=emozione) per nominare un insieme di caratteristiche cognitive e affettive. Secondo la sua definizione attuale il costrutto dell'Alessitimia si compone delle seguenti caratteristiche: 1-difficoltà nell'identificare i sentimenti e nel distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all'attivazione emotiva 2-difficoltà nel descrivere agli altri i propri sentimenti 3-processi immaginativi limitati, evidenziati dalla povertà delle fantasie e infine 4-stile cognitivo collegato allo stimolo reale, concreto e orientato all'esterno. L’ Alessitimia quindi è un vero e proprio deficit di consapevolezza affettiva (“non so cosa sto provando e non lo so dire”), diverso dalla reazione difensiva da inibizione emotiva ( “so cosa sto provando ma non riesco a dirlo”). Quindi l’Alessitimia riguarda l'esperienza di affetti non regolati di cui si ha percezione solo per la loro espressione fisica (emotions) ma senza essere accompagnati, integrati, connessi alla consapevolezza del loro corrispettivo mentale, soggettivo, psichico (feeling). (Taylor,1999) La teoria del codice multiplo di Wilma Bucci costituisce un importante riferimento teorico per l'alessitimia. La Bucci ritiene che le fasi primitive dell'elaborazione delle emozioni non vengano abbandonate e superate dai livelli più evoluti di elaborazione formale e cognitiva degli affetti. La Bucci ipotizza l'esistenza di tre modalità di elaborazione delle informazioni: il modo subsimbolico non verbale, il modo simbolico non verbale e il modo simbolico verbale. L'elaborazione subsimbolica riguarda tutti quegli stimoli non verbali (emozioni,, input motori, stimoli sensoriali) che vengono processati in parallelo: ad esempio riconoscere le emozioni nelle espressioni facciali, o una voce familiare in una festa, e per restare nella professione intuire il timing dell'interpretazione da dare al paziente. L'elaborazione simbolica non verbale riguarda invece quelle immagini mentali (un volto, una musica, una espressione che pur presenti nella coscienza non possono essere tradotte in parole. La modalità simbolica verbale, invece, riguarda quel potente strumento mentale mediante il quale l'individuo comunica il proprio mondo interno agli altri e conoscenza e cultura vengono trasmessi da un individuo ad un altro. I tre sistemi sono connessi fra di loro. Per esempio l'emozione provocata da una donna è collegata all'immagine del suo modo di camminare e questa emozione intensa viene poi trasformata in parole in una poesia o in un testo di una canzone. La Bucci definisce processo o attività referenziale tale complessa connessione bidirezionale dalle emozioni alle parole e viceversa. I simboli vengono definiti dalla Bucci come “entità che si riferiscono ad altre entità”, capaci per questo di rappresentare il mondo degli oggetti in loro assenza. La rappresentazione di entità in loro assenza è il campo del simbolico. Aspetto essenziale di tale capacità di rappresentazione è il permettere di comprendere che un determinato oggetto continua ad esistere anche quando non lo si vede. I simboli possono essere immagini o parole. Invece il sistema definito dalla Bucci come subsimbolico non conosce suddivisioni, e si caratterizza essenzialmente per la sua differenza da quello simbolico. Al livello subsimbolico, infatti le emozioni funzionano innanzitutto come mediatori della risposta rispetto a situazioni contingenti, piuttosto che per evocare situazioni in loro assenza. L'alessitimia corrisponde alla mancanza di connessione referenziale fra l'attivazione subsimbolica e l'elaborazione verbale, per arresto di sviluppo (Deficit) o per disconnessione (Trauma). Le emozioni restano quindi collegate in modo debole alla modalità simbolica, sia non verbale(immagini) sia verbale (Parole), e vissute come sensazioni somatiche, percezioni, acting indifferenziati e disregolati. L’integrazione delle percezioni relative agli stati “corporei” e “mentali” dipende dalla capacità di dar forma a rappresentazioni mentali e a simboli. Le modificazioni sensoriali, viscerali e motorie che si verificano quando si attiva un’emozione sono elaborati dal sistema nervoso nella modalità subsimbolica. Nel corso dello sviluppo primario queste rappresentazioni sub-simboliche vengono connesse a rappresentazioni simboliche, inizialmente attraverso immagini (come l’associazione tra l’emozione e una persona o un evento) e, più tardi, quando si sviluppa il linguaggio, attraverso parole che consentono alla persona di definire, identificare e descrivere gli specifici sentimenti. È attraverso i nostri sentimenti che sappiamo cosa sta accadendo a livello delle nostre emozioni. All’interno di questa visione unitaria della mente e del corpo Wilma Bucci effettua una distinzione tra: dissociazione primaria e secondaria. Nella primaria il trauma è talmente forte e prolungato che un livello alto e non regolato di ormoni dello stress (cortisolo) impedisce la formazione di memorie simboliche a livello dell’ippocampo; quindi la memoria viene impressa a livello subsimbolico nell’amigdala, in modo frammentario e dissociato, l’arousal a livello dell’amigdala è amplificato, e la capacità regolativa dell’ippocampo danneggiata. Nella dissociazione secondaria la memoria simbolica si forma in tutto o in parte, ma la rievocazione è impedita a causa del contenuto; la stessa memoria subsimbolica depositata nell’amigdala inibisce l’attivazione corticale. Questa seconda condizione corrisponde a quella che la psicoanalisi ha chiamato rimozione. In entrambi i casi non appena si verifica qualcosa nell’ambiente che ha a che fare con il trauma originario lo schema subsimbolico si attiva ma il soggetto non è in grado di capire il motivo dell’agitazione che prova. Nella prima forma di dissociazione possiamo riscontrare le condizioni di sofferenza somatopsichica, mentre nella seconda possiamo ritrovare quella psicosomatica. Somato-psichico e Psico-somatico Una differenza fra il funzionamento mentale somatopsichico e psicosomatico verte sulla presenza o meno di meccanismi difensivi o sulla presenza di processi deficitari di elaborazione affettiva. Ovvero nel somatopsichico vi è un deficit di elaborazione degli stati emozionali, una mancanza di struttura elaborativa, mentre nello psicosomatico l’incapacità a leggere i propri stati emotivi è indice dell’ opera di meccanismi difensivi, che allontano ed “evacuano” i contenuti pericolosi emozionali (gli elementi beta) non elaborabili, da una elaborazione consapevole, e da una mentalizzazione riflessiva. E’ importante considerare le scelte difensive non soltanto per gli aspetti dolorosi, capaci di produrre forti e talvolta invalidanti limitazioni, con ricadute sulla qualità della vita della persona. Ogni strategia difensiva è infatti il risultato di una contrattazione sintomatologica che accetta di pagare un prezzo per salvare altri livelli di funzionamento mentale, talvolta per evitare il disastro della frammentazione. Classicamente il termine difesa in psicoanalisi si riferisce ad una funzione propria dell’Io, attraverso la quale questo si protegge da eccessive richieste libidiche o da esperienze di pulsioni troppo intense che non è in grado di fronteggiare direttamente. Credo sia più utile enfatizzare il valore riparativo e di compromesso che la mente attraverso queste riesce a produrre in un momento di difficoltà e cosa consentono di salvare. Alla luce di ciò che si è detto, possiamo pensare che non sono solo quali meccanismi difensivi siano presenti, dai più primitivi a quelli più evoluti, che caratterizzano quasi tutte le formulazioni diagnostiche di orientamento psicodinamico, a connotare principalmente le differenze fra il funzionamento psicosomatico e somatopsichico, ma il punto principale è il diverso grado di capacità elaborativa e di consapevolezza del Sé ai continui stimoli e contenuti emozionali/affettivi, che gli arrivano esternamente o internamente alla persona, mentre “vive” e fa esperienza, agendo e pensando nel mondo. E’ evidente come possono cambiare le nostre azioni e le nostre relazioni e il nostro modo di pensare, a seconda di possedere una struttura coesa del Sé o non averla, con la conseguenza di essere più o meno consapevoli di ciò che ci accade dentro e fuori di noi. E’ importante considerare le scelte difensive non soltanto per gli aspetti dolorosi, capaci di produrre forti e talvolta invalidanti limitazioni, con ricadute sulla qualità della vita della persona. Ogni strategia difensiva è infatti il risultato di una contrattazione sintomatologica che accetta di pagare un prezzo per salvare altri livelli di funzionamenti mentale, talvolta per evitare il disastro della frammentazione. Le condizioni definite da noi “somato-psichiche” sono forme che sono caratterizzate di una pervasiva mancanza di strutturazione e organizzazione del Sé e da una difficoltà pressoché totale a costruire rappresentazioni degli stati interni a livello psichico e che possano quindi essere messe in pensabilità psichica e parola. Gli stati affettivi emergono in seduta non-integrati né strutturati, privi nella maggior parte dei casi di contenuti rappresentativi e vissuti come esperienze prevalentemente sensoriali, indistinte e spesso minacciose per l’effetto disorganizzante che portano con sé: un sentimento di sconfinamento affettivo che soffoca la mente, che è la grande assente in queste forme patologiche. Siamo lontani dall’idea comune della psiche che fa ammalare il corpo. Qui il corpo deve sostituire la mente che non è in grado di occuparsi e di elaborare su ciò che accade all’interno di Sé e del proprio corpo. Sono forme che possono essere caratterizzate da una pervasiva mancanza di strutturazione e organizzazione e da una difficoltà pressoché totale a costruire rappresentazioni degli stati interni che possano essere messe in parole. Gli stati affettivi, così come si manifestano in seduta, emergono non-integrati né strutturati, privi nella maggior parte dei casi di contenuti rappresentativi e vissuti come esperienze prevalentemente sensoriali, indistinte e spesso minacciose per l’effetto disorganizzante che sembrano portare con sé: un sentimento di sconfinamento affettivo che sembra soffocare la psiche. Nel contatto con questi pazienti si resta colpiti dalla povertà della loro vita fantasmatica, come se la psiche fosse continuamente presa nell’attuale: un attuale che non riesce mai a diventare familiare e prevedibile perché reso al contrario perturbante dall’impossibilità di costruirne una raffigurazione psichica che possa essere inserita in una narrativa personale. La natura stessa dei processi identificativi e soggettivanti è potentemente influenzata da questa carente funzione rappresentativa: l’identificazione risulta più o meno caleidoscopica e i processi di soggettivazione sono resi impossibili dal permanere di stati non integrati del sé, aggregati sensorialmente intorno a nuclei affettivi che non potendo raggiungere la dimensione rappresentativa, non possono essere integrati, né utilizzati per costruire il senso di séLa trasformazione di uno stato non rappresentato in una rappresentazione spesso necessita di un oggetto che sia in grado di contenere il senza nome. Tale trasformazione include due dimensioni: una pre-concezione diventa una concezione; un elemento privo dei criteri di pensabilità, acquisisce tale qualità. Le condizioni “psico-somatiche” sono forme, invece, caratterizzate da una presenza ed organizzazione di un Sé strutturato e capace di simbolizzazione. Ma al suo interno presenta più o meno, a secondo della gravità della condizione, una incapacità elaborativa e “contenitiva” degli stati affettivi che si possono produrre da stimolazioni interne o esterne ad esso. Questo accade per una presenza di rappresentazioni oggettuali non in grado di contenere i moti affettivi dell’individuo all’interno della sua mente. Quindi per evitare implosioni i moti affettivi in eccesso di contenimento verranno “evacuati” o nel soma o in agiti comportamentali o in schemi fissi e rigidi di pensiero che cercheranno di “imprigionare” le emozioni, in quanto non “digeribili”, che non produrranno, in questo tipo di “apparato per pensare”, moti creativi con possibilità di cambiamento. Quindi nella situazione somatopsichica manca l’integrazione psicosomatica ovvero la struttura del Sé. Nella condizione di funzionamento psico-somatico la struttura è formata ma ha delle rotture o falle al suo interno. Nel primo caso ci sono delle dissociazioni degli stati emozionali dal Sé (stati Non-Me), mentre nel secondo gli stati emozionali non possono essere contenuti, seppur all’interno del Sé e quindi evacuati in varie maniere, all’esterno o nel corpo, fuori da esso. Se dovessimo pensare a dei binari che connettono le strutture più profonde implicite limbiche con le strutture o stazioni corticali, possiamo immaginare che nel primo caso i binari non ci sono e vanno costruiti, mentre nel secondo caso i binari ci sono ma sono stati rotti e vanno riparati. In entrambe queste condizioni si riscontra evidente il costrutto di “Alessitimia” sopradescritto. L’alessitimia si può suddividerla in una alessitimia primaria, quindi più accentuata nel somato-psichico ed una alessitimia secondaria meno grave, ma pur sempre presente ed invalidante nel funzionamento psico-somatico. Quindi nel somatospichico gli stati emozionali attivati nella persona restano fuori dal Sé, in quanto poco attrezzato ad elaborali, digerirli ed ad ospitarli all’interno di una sua coesa temporalità e storicità. Essere in grado di accomodare, tali stati sapendoli integrare con altri elementi già esistenti, dandosi la possibilità di creare nuovi equilibri e nuove “armonie”. Anche se con vari gradi di elaborazione nello psico-somatico, i contenuti affettivi risiedono all’interno della struttura del Sé. Tutto questo vuole dire che ogni qualvolta la persona si trova a fare i conti con stimolazioni interne ed esterne ad esso, queste attiveranno stati emozionali che saranno a seconda del funzionamento mentale prevalente nell’individuo somatospichico o psicosomatico, più o meno in grado di poter essere elaborati, regolati o “digeriti”, per dirla con Bion. Più siamo capaci di essere coscienti e consapevoli e più saremo in grado di “digerire” e farli propri, tali stati attivati. Da questo si evince che le difese, che dovrebbero servire per scacciare tali stati attivati per non turbare la quiete della nostra coscienza, anche se questo produce notevoli stati sintomatologici patologici, non hanno motivo di essere considerati in tale maniera, in quanto questi meccanismi, che vengono definiti di “difesa”, non sono altro che l’unica modalità, che la persona che li attua, ha a disposizione per cercare di elaborare gli stati affettivi che si attivano in lui. Quindi il lavoro della nostra mente è quello di riuscire a non far diventare traumatica l’esperienza che viviamo riuscendo ad elaborarla mentalmente e ad agire per modificarla secondo i nostri bisogni e i nostri desideri. Nello stato alessitimico, che sottende ad entrambe le due condizioni psicopatologiche, questo processo per la maggior parte delle volte non è possibile. Il primo passo per costruire la realtà è sognare la realtà stessa. Da qui l’enorme necessità di dover sognare per avere una salute psico-fisica sana. Se non si riesce a elaborare la realtà di cui facciamo esperienza essa diventa traumatica e a seconda del livello traumatico si possono osservare l’emergere nella persona di fenomeni dissociativi o difese come la scissione e la rimozione. A seconda del livello di gravità dalla dissociazione alla rimozione avremo gli stati patologici somatospichici o psicosomatici. Rimozione, scissione, dissociazione sono in fondo un continuum che esprime la capacità attiva della nostra mente di fronteggiare l’esperienza, selezionarla, organizzarla ed elaborarla. Una mente attiva, non solo recipiente passivo dell’esperienza. La perdita della possibilità di un funzionamento armonico tra corpo e mente fa sì che, da una parte, il corpo diventi un insieme di sensazioni fisiche scisse e persecutorie e che, dall’altra, la mente perda il legame con l’esperienza e con la realtà. La dissociazione e la scissione sono esiti possibili di un processo patologico nel quale lo sviluppo dell’individuo all’interno della diade madre-bambino è ostacolato da disturbi e interferenze che si concretizzano in traumi ambientali. Se all’interno della diade è necessario che la madre si identifichi nei vissuti del bambino e li “conosca”, fornendo una risposta ai bisogni corporei ma anche dando un senso ed un nome a quelle che inizialmente sono solo sensazioni gradevoli o sgradevoli (Bonfiglio, 2010). Quando questa identificazione non riesce, quando la madre fraintende gli stati del bambino o gli attribuisce sensazioni proprie: “Può derivarne una difficoltà o una impossibilità a leggere i propri stati interni” (Bonfiglio, 2010). Gli stati interni non riconosciuti sollecitano il ricorso alla dissociazione o la scissione, a seconda della gravità o del periodo evolutivo in cui accadono. Il concetto di dissociazione si riferisce a stati del Sé non simbolizzati che non si trovano in uno stato conflittuale con la coscienza ma sono un non-me, in una condizione di alter-ego. Il concetto di dissociazione si riferisce a stati del Sé non simbolizzati che non si trovano in uno stato conflittuale con la coscienza ma sono un non-me, in una condizione di alter-ego. Si tratta di una disfunzione basata sulla non integrata informazione tra vari settori operativi della mente, che è una difesa rispetto ai conflitti tra i vari stati del Sé e tra il Sé e le relazioni emotive e sociali; nella scissione è all’opera una continua disconnessione fra affetti e stati del Sé e la loro articolazione simbolica. La scissione dell’Io è correlata al disconoscimento della quota di realtà intollerabile per il soggetto: mentre la rimozione è volta alla soppressione di un’istanza pulsione del mondo interno, il rinnegamento si volge ad una rappresentazione proveniente dalla realtà. La scissione è legata al fatto che la negazione della realtà e il riconoscimento della stessa coesistono senza annullarsi producendo una doppia realtà psichica così che: “ c’è sempre un Io che può dire: io non ne so nulla”. E’ importante sottolineare che nella dissociazione e nella scissione non c’è solo un’alterazione dei processi mentali, ma anche una separazione fra mente e corpo. L’affettività nel corpo è recisa dalle sue immagini corrispondenti nella mente, e quindi un significato insopportabilmente doloroso viene dissociato o scisso, a seconda che la recisione avvenga per assenza di vie (“binari”) o perché inagibili in quanto rotte, ma esistenti. Il soggetto scisso si identifica con la risposta rifiutante dei genitori diventando l’oggetto, rinnegando una realtà dolorosa come quella del se stesso fragile, dipendente, triste. Va a questo punto sottolineato un aspetto rilevante ai fini dello sviluppo del discorso: nel caso della scissione affetti o stati del sé sono rappresentabili ma scissi, nel caso della dissociazione non vi è rappresentazione. La questione è se questa rappresentazione non c’è perché non c’è mai stata o perché non c’è più; se ci stiamo occupando di qualcosa che avviene al di qua o al di là della rappresentazione. Una questione teorica con importanti ricadute sul piano clinico. Se l’evento o il processo traumatico si colloca in una fase dello sviluppo che precede la rappresentazione esso non potrà essere rievocato in quanto non è stato mai notato; si tratterebbe di quegli “atti psichici incompiuti” che possono sì presentarsi nei sogni ma che più frequentemente si propongono sotto forma di azione o enactment. Nella dissociazione siamo nel campo di quei fenomeni in cui lo statuto inconscio dell’affetto è quello dell’ammontare somatico nello psichico, cioè di affetti privi di rappresentazione. La peculiarità della scissione consiste invece nel fatto di essere il prodotto del disconoscimento della realtà: mentre l’affetto viene rimosso o meglio allontanato dalla nostra capacità di poterlo sentire consapevolmente, la rappresentazione è rinnegata ma è presente, al contrario di ciò che avviene nella dissociazione dove è assente. Per concludere la scissione e la rimozione possiamo farli appartenere alla condizione psicosomatica, con i vari livelli di gravità in quanto la scissione è una forma difensiva più grave e più invalidante della rimozione. Mentre quegli stati che non hanno formazione psichica e sono dissociati appartengono al quadro somatospichico. Gli stati psicosomatici e quelli somatospichici possono a volte essere entrambi presenti nella stessa persona. La terapia è molto differente nei due quadri quindi è molto importante per il clinico per non essere un fattore iatrogeno sapere davanti a quale quadro clinico si trovi. Nella letteratura sulla psicosomatica questi due quadri clinici differenti fra loro, vengono molto spesso confusi e sovrapposti con ricadute cliniche importanti. La perdita della possibilità di un funzionamento armonico tra corpo e mente fa sì che, da una parte, il corpo diventi un insieme di sensazioni fisiche scisse e persecutorie e che, dall’altra, la mente perda il legame con l’esperienza e con la realtà. Un corpo che esprime l’angoscia, dunque; ma anche un corpo che la blocca, che àncora la mente, che ci aggrappa alla vita. Per presentare gli aspetti di dissociazione del somato-psichico e di scissione dello psico-somatico, ci si può servire proprio del confronto tra due forme artistiche, due opere pittoriche :per presentare questi aspetti di dissociazione nel somato-psichico e di scissione nello psico-somatico, ci si può servire proprio del confronto tra due forme artistiche, due opere pittoriche:L’urlo che Edward Munch dipinse nel 1893 (Oslo, Munchmuseet) e che realizzò in più versioni e uno degli Studi dal ritratto di Papa Innocenzo X di Velàzquez, quello che Francis Bacon dipinse nel 1953 e che si trova al Des Moines Art Center, Iowa. Dal Diario di Munch: “Camminavo lungo un ponte della città di Nordstrand con due amici. Il sole era al tramonto, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai. Mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo nero e azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare ed io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando (Holland, 2005). Il corpo che esprime l’angoscia, dunque; ma abbiamo detto anche il corpo che la blocca, che àncora la mente, che ci aggrappa alla vita. Questo possiamo trovarlo nel quadro di Bacon, “che è infetto come da una lebbra irredimibile che lo corrode a vuoto, silenzio, nero e ghiaccio. La bocca spalancata del papa, come nei peggiori incubi, non riesce ad emettere alcun suono, la gola si strozza, il corpo si dissolve. Anche lo spazio intorno si dissolve, non ci sono colori e forme, ma vuoto e nero, il corpo stesso del papa sta scomparendo, disfatto nel buco nero che sta inghiottendo la carne e la materia, la vita. Rimane qualche traccia ghiaccia, colori acidi, giallo, viola, strisce di biacca “bava agonica e finale” lo spasmo della figura che si aggrappa a qualcosa per resistere al dissolvimento, una mano che si artiglia alla poltrona e l’altra che si serra su di sé, in preda ad un terrore inesprimibile si aggrappa alla vita disperatamente (Ciocca A. 2012). Invece di subire passivamente il dolore, poterlo vedere anche attraverso la sofferenza del corpo è un primo modo per trasformare attivamente l’esperienza, contenerla ed affrontarla. Il quadro di Munch rappresenta lo stato del corpo e della sofferenza psicosomatica, che è qualcosa che riguarda una psiche che si manifesta attraverso il corpo, un corpo che diviene sede dell’”evacuazione” di “elementi beta” non contenuti dall’apparato mentale, mentre il quadro di Bacon manifesta la sofferenza indicibile irrappresentabile della sofferenza corporea somatopsichica, dove il corpo dissociato ci fa sentire nello stesso tempo vivi solo attraverso di esso, perché la psiche ha dato forfait ed è la grande assente dove il corpo dissociato risiede. Qui parliamo della mancanza di quella psichicità, che Winnicott, come vedremo, definisce quello stato che si insedia nel corpo e che ci permette di immaginare i nostri movimenti corporei; come se si formassero due occhi, che girati internamente dentro il proprio corpo, ci permettono di vedere cosa sta accadendo dentro di noi. Questa è l’unità psicosomatica che intende Winnicott in cui siamo “vivi”. Mentre qui questa psiche è assente e al suo posto c’è quello che Winnicott chiama “L’intelletto” che è dissociato dai movimenti dello psiche-soma. Il corpo e la malattia servono, seguendo Winnicott “come difesa contro la fuga nel puramente intellettuale, vale a dire contro la perdita della significatività psicosomatica dell’individuo”. (Winnicott, 1989). Un corpo che cerca di riprendersi “strillando” e facendosi spazio, attraverso il suo essere ferito, il suo spazio naturale nello psiche soma, usurpato dall’intelletto falso che se troppo grande porterebbe ad uno stato allucinatorio, Da qui si evince il grande timore dei pazienti di perdere i propri sintomi fisici quando si sta migliorando. In questi momenti avviene quella “paura del crollo di Winnicott che può essere accostato, al concetto di “cambiamento catastrofico” di Bion come tratteremo in seguito. Una sorta di iperattività autarchica dell’intelletto che non riconosce i segnali correlati alla dipendenza e che ignora gli aspetti emotivi dell’esperienza. In questa prospettiva i segnali provenienti dal corpo, comprese le malattie somatiche, sono da intendersi come dei tentativi di ripristinare un equilibrio psico-somatico e di stabilire un contatto tra la vita emotiva e la dimensione psichica altrimenti fredda, distaccata, disincarnata, depersonalizzata e derealizzata. Hanno suggerito che gli studi medici di base così come i Pronto Soccorso degli ospedali siano spesso luoghi che il transfert investe di una richiesta di accudimento da parte di uno psiche-soma in cerca di una madre-ambiente nuova in grado di sanare una disconnessione primordiale. Ciò vale per molte situazioni ma è particolarmente evidente in quelle a prevalente componente somatica come quei quadri che rientrano nello spettro dei cosiddetti “attacchi di panico”: la paura di morire esprime il bisogno di essere accolti, protetti e rassicurati su ciò che avviene nel corpo, una protezione e una rassicurazione che era mancata nella relazione del neonato con la propria madre. Si spiega così il successo e l’efficacia delle medicine “alternative” ad approccio unitario a fronte di quello moderno della medicina occidentale che con la frammentazione dei saperi tende a perpetuare la scissione tra psiche e soma. Si può affermare in questa ultima situazione, un passaggio dello stimolo emozionale al SNA (sistema nervoso autonomo) senza la mediazione di un’elaborazione mentale, neppure inconscia. La mancata elaborazione psichica non è dovuta a un conflitto con l’eccitamento emergente, e tanto meno a una difesa contro una rappresentazione inconscia, piuttosto ad incapacità del soggetto ad elaborare psichicamente, cioè a dar forma di pensiero e di rappresentazione. A questo livello non si può parlare di conflitto psichico: con che cosa entrerebbe in conflitto la psiche, nel senso delle difese nevrotiche o psicotiche, se l’oggetto da cui difendersi non è stato concepito in alcuna forma psichica? Lo snodo in questione non può che portare a una concezione carenziale, e non conflittuale, difensiva, della disfunzione psichica alla base del disturbo somatico. Quindi funziona prevalentemente la mente corporea priva di rappresentazioni e simboli (memoria implicita) che andrebbero, invece, a formare una nostra storia autobiografica che si inserisce nella memoria esplicita. Questa mancanza è lo stato alessitimico dove il soggetto manca perché è in grado, come abbiamo visto, solo di re-agire alle stimolazioni esperienziali e non di agire costruttivamente su di essi come soggetto. Gli stati psicosomatici e quelli somatospichici possono a volte essere entrambi presenti nella stessa persona. La terapia è molto differente nei due quadri quindi è molto importante per il clinico per non essere un fattore iatrogeno sapere davanti a quale quadro clinico si trovi. Nella letteratura sulla psicosomatica questi due quadri clinici, enormemente differenti fra loro, vengono molto spesso confusi. Nella somatizzazione acuta (psico-somatico) il clinico dovrebbe essere in grado di aiutare il paziente a cogliere la relazione tra la propria sofferenza somatica e le circostanze che l’hanno favorita. Quindi avere un atteggiamento comprensivo/empatico e soprattutto rassicurante. Nella somatizzazione cronica (somato-psichico) o persistente, invece i pazienti non sono alla ricerca di consigli o rassicurazioni, che spesso rifiutano, ed a volte sembra che non abbiano nemmeno il desiderio di migliorare la loro condizione di salute. Queste persone hanno bisogno di qualcuno che li ascolti, li capisca e sia lì con loro e li accetti. Il clinico dovrebbe evitare di mettere in dubbio la realtà dei suoi disturbi, ed accettare l’esistenza di un problema e collaborare ad identificarlo e ad affrontarlo. Psicologi e psicoterapeuti devono cercare di non cadere in una posizione di psicologismo riduttivista, rappresentato dalla tendenza ad interpretare i fatti del corpo alla stregua di rappresentazioni psichiche. Mentre nelle somatizzazioni acute il clinico dovrebbe evitare la tendenza opposta cioè quella di interpretare i sintomi organici o psicosomatici come accadimenti estranei al contesto psichico. In entrambi i casi una spiegazione fisiologica e psicologica della regolazione affettiva ed emozionale può essere molto utile, in quanto è opinione comune separare le cause o in fisiologiche/corporee o psicologiche mentre il mondo emozionale investe entrambe le dimensioni contemporaneamente. Quindi prendendo in prestito il termine Winnicottiano di Handling nella condizione somatopsichica il paziente ha bisogno che il terapeuta dia una continuità d’essere, e di esistenza. Se questo non avviene o la realtà supera i nostri mezzi psichici elaborativi si avrà la creazione di uno stato mentale di “Dissociazione”. La dissociazione non è solo un’alterazione dei processi mentali, ma anche una separazione fra mente e corpo. L’affettività nel corpo è recisa dalle sue immagini corrispondenti nella mente, e quindi un significato insopportabilmente doloroso viene dissociato. Quindi avviene quello che Winnicott chiamava un interruzione dello psiche-soma che procura una frattura al senso di interezza del Sé. Questi stati dissociati vengono ripresentati attraverso le “messe in atto” in terapia. Si tratta d’innumerevoli gesti o atti psichici, che il soggetto utilizza per legarsi affettivamente agli altri e che l’Io non riesce mai a pensare, perché si iscrivono sotto forma di scene della relazione soggetto-oggetto o procedimenti psichici per destreggiarsi con l’impatto della realtà e che ascriviamo alla qualità dell’inconscio non rimosso. Elementi dello psichismo che non essendo simbolizzati verbalmente, sono diventati proto-pensieri che, vagando come anime in pena, si ripetono compulsivamente nello spazio intersoggettivo alla ricerca di un pensatore che dia loro le parole per poter essere pensati dall’Io. Potremmo dire che gli elementi psichici primitivi che non possono essere rappresentati con il modello del sognare ritornano come infinite messe in atto drammatizzate nello spazio del reale. Questo nel transfert esige sempre l’altro che incarni il ruolo dell’oggetto .In questa rappresentazione drammatica l’altro dello spazio inter-soggettivo viene reclutato per recitare un copione inconscio, che si è psichicamente inscritto come gesti psichici non pensati verbalmente e che il soggetto si scambia con gli oggetti. Una modalità di rappresentazione che non passa attraverso la parola ma attraverso una messinscena co-prodotta dal soggetto e da un altro. A livello neurofisiologico le messe in atto o gesti psichici appartengono come abbiamo detto alla memoria implicita. L’organo principale a livello sottocorticale di questa memoria è l’amigdala. L’amigdala è responsabile della reazione emotiva immediata, e mette in connessione la percezione degli stimoli della realtà, l’attivazione di stati somatici e la ritenzione mnestica. Sono risposte che non richiedono le funzioni cognitive superiori. Quindi l’inconscio non rimosso (Vedi paragrafo 2) rappresenta il principio organizzatore di un senso di sé primitivo , che si costituisce a partire dalle prime relazioni emotive. Se il bambino fa esperienza di un ambiente emotivamente trascurante, non in grado cioè di sintonizzarsi e di riconoscere le sue richieste emotive, ciò provocherà il residuarsi di emozioni primitive traumatiche dall’effetto disturbante per lo sviluppo psicosomatico. Nonostante le messe in atto siano i momenti più stressanti di una psicoterapia, in un’alleanza terapeutica ottimale il terapeuta funge da regolatore implicito degli stati emozionali consci ed inconsci del paziente. Le messe in atto diadiche innescano la ricomparsa di esperienze emotive inconsce altamente disregolate, e dunque dissociate, collegate alla storia dell’attaccamento caregiver-figlio/a di entrambi i membri dell’alleanza terapeutica. Questi momenti di intenso stress emotivo, che consentono di entrare in contatto con gli aspetti dissociati del paziente, fungono anche da “mattoni affettivi” nei cambiamenti che curano. Il controllo da parte del terapeuta empatico e recettivo dei processi psicobiologici inconsci, più dei contenuti verbali, egli incrementa l’attenzione dell’emisfero destro nei confronti degli stati impliciti di eccitamento emotivo del paziente, ed aiuta ad adattarsi ad essi. A loro volta, queste collaborazioni fra la soggettività di paziente e terapeuta permettono le comunicazioni degli stati emozionali disregolati. In questi momenti c’è anche la possibilità di una regolazione interattiva degli affetti, la chiave dei meccanismi di attaccamento. Ricordiamo che i processi di regolazione psicobiologica interattiva degli stati emozionali disregolati consci ed inconsci, sono un momento terapeutico di fondamentale importanza. La regolazione implicita degli stati emozionali (quindi non la mentalizzazione conscia) è essenziale per lavorare sui traumi relazionali e sugli stati dissociati. Il nostro controllo conscio sulle emozioni è debole e di durata limitata nel tempo e le sensazioni spesso sovrastano il pensiero, quando il pensiero tenta di combattere contro le emozioni è una battaglia persa in partenza. Le connessioni che vanno dai sistemi emozionali ai sistemi cognitivi sono più forti di quelle che vanno nel senso opposto. Quindi i tentativi consci di regolazione emotiva sono difficili e quando le persone provano a controllare le loro emozioni spesso falliscono. D’altra parte, la regolazione non conscia delle emozioni, ovvero un controllo non intenzionale, automatico e relativamente senza sforzo dell’esposizione, elaborazione e risposta ad eventi emotivamente evocativi fronteggiati da un individuo, non è soggetta alle stesse limitazioni della memoria e dell’attenzione, e quindi è molto più adatta alla gestione della vita emotiva. Si può senz’altro dire che i processi non consci agiscono in modo molto più efficace di quelli consci. Le messe in atto rappresentano momenti molto stressanti di eccitamento alterato e di forte emotività, e non sono adatte a strategie verbali consce e volontarie di regolazione delle emozioni. Per concludere, in un’ottica psicoterapeutica, il cambiamento non dipende tanto dall’aumento del controllo ragionato sulle emozioni da parte dell’emisfero sinistro, quanto dall’ampliamento della finestra di tolleranza emozionale della capacità di regolazione dell’emisfero destro, il “cervello emozionale”. Quindi il trauma che è iniziato “la fuori” è rimesso in atto, ora sul campo di battaglia del nostro corpo, senza che vi sia una connessione consapevole tra ciò che è accaduto allora e quello che sta succedendo in questo momento dentro di noi. La sfida non è imparare ad accettare le cose terribili che sono accadute, ma imparare ad ottenere la padronanza sulle proprie sensazioni interne e sulle emozioni. Percepire, nominare ed identificare ciò che sta succedendo dentro di noi è il primo passo verso la guarigione. Memoria implicita e inconscio precoce non rimosso: Il Sogno necessario La ricerca neuroscientifica ha dimostrato che nel nostro cervello operano due sistemi della memoria con caratteristiche anatomo-funzionali differenti. Un sistema riguarda la memoria esplicita o dichiarativa e un altro la memoria implicita o non-dichiarativa. La prima può essere evocata coscientemente e verbalizzata. Essa riguarda la propria autobiografia relativamente a specifici eventi e permette di dare un senso al ricordo delle esperienze della propria vita. La memoria esplicita, dunque, permette attraverso il ricordo un processo ricostruttivo della propria storia personale e partecipa alla formazione della propria identità. Essa necessita della integrità dell’ippocampo bilaterale, del lobo temporale mediale e delle aree frontali basali. In particolare l’ippocampo è la struttura chiave della memoria esplicita in quanto seleziona e codifica le informazioni che verranno archiviate nella corteccia associativa. La memoria implicita non è cosciente né verbalizzabile. Essa presenta varie dimensioni: a) il priming, inteso come capacità di un soggetto di scegliere un oggetto cui è stato precedente esposto in modo subliminale; b) la memoria procedurale che riguarda l’apprendimento senso-motorio, come camminare, andare in bicicletta, suonare strumenti, ecc.; c) la memoria emozionale ed affettiva che si riferisce alle esperienze emozionali e affettive più significative che il bambino vive nelle sue prime relazioni con la madre e l’ambiente in cui cresce. La memoria implicita è dunque essenzialmente emozionale. I suoi circuiti anatomo-funzionali sono rappresentati dall’amigdala, nuclei della base, cervelletto e aree temporo-parieto-occipitali dell’emisfero destro. Le esperienze neonatali precoci depositate nella memoria implicita non possono essere rimosse poiché la rimozione presuppone il ricordo che può avvenire solo in rapporto alla memoria esplicita la cui organizzazione non è matura prima dei due anni di vita. La ricerca neuroscientifica ha dimostrato infatti che l’amigdala, che organizza la memoria implicita, è già matura precocemente e funziona a partire dagli ultimi tempi gestazionali. Per contro l’ippocampo, indispensabile alla memoria esplicita, matura dopo il secondo anno di vita. Pertanto tutte le esperienze traumatiche depositate nella memoria implicita di natura essenzialmente emozionale organizzano un inconscio che non può andare incontro a rimozione e che si definisce come “inconscio precoce non rimosso” (il funzionamento somatopsichico di solito si forma soprattutto in questo tipo di memoria). Continuo a usare la parola “rimozione” per semplificazione dei termini. Rimozione non viene usata qui, come “spinta indietro” della coscienza di contenuti inconsci indesiderati o pericolosi, di freudiana memoria, ma in linea con le nuove scoperte sulla memoria nelle neuroscienze, come processo in cui contenuti emozionali inconsci sono “rinnegati” dal funzionamento psichico del Sé, poiché non “digeribili” ed elaborabili dalla capacità dell’apparato di consapevolezza e di pensiero del Sé, che lo farebbero implodere. Poiché i due sistemi della memoria descritti si organizzano sequenzialmente nel tempo ontogenetico, possiamo ipotizzare che nella nostra mente operino due sistemi inconsci che si organizzano in periodi differenti dello sviluppo. Possiamo, su questa base, anche avanzare un’ipotesi sulla organizzazione anatomo-funzionale dell’inconscio rimosso e non rimosso. Il primo può formarsi attraverso la rimozione che comporta un processo attivo che coinvolge il sistema della memoria esplicita (ippocampo, corteccia temporale mediale e orbito-frontale). Il secondo sarà prodotto dal depositarsi delle esperienze emozionali e affettive più precoci nel sistema della memoria implicita (amigdala, gangli della base, cervelletto, corteccia temporo-parieto-occipitale dell’emisfero destro). L’inconscio non rimosso fondato sulle emozioni e sulle esperienze depositate nella memoria implicita si organizza precocemente già nei primi periodi della vita rispetto all’inconscio rimosso che può operare dopo il secondo anno di vita. Nello sviluppo, l’inconscio precoce non rimosso avrà un suo effetto condizionante il processo di rimozione successivo, così come l’inconscio rimosso, una volta formato, potrà condizionare le esperienze non rimosse. Dobbiamo infatti pensare che la memoria, sia esplicita che implicita, vada incontro a un processo continuo di ricategorizzazione tale da facilitare anche l’influenza reciproca delle due forme di memoria. Il sogno costituisce una rappresentazione privilegiata per cogliere le fantasie e le emozioni collegate alle prime esperienze preverbali e pre-simboliche che caratterizzano il modello implicito della mente del paziente. Oltre ad essere un sipario aperto sul transfert e un rivelatore di dinamiche intrapsichiche e intersoggettive specifiche, il sogno va visto oggi come la funzione della mente capace di rendere simboliche esperienze pre-simboliche e preverbali. Ciò permette la pensabilità e la verbalizzazione di esperienze precoci mai verbalizzate né pensate. Le immagini inoltre che il sogno produce colmano il vuoto della non rappresentazione che caratterizza l’inconscio non rimosso. Gli stessi personaggi del sogno che possono riferirsi ad epoche molto precoci dello sviluppo possono permettere all’analizzando di rivivere emozionalmente attraverso una identificazione con essi le esperienze più precoci mai conosciute e mai realmente vissute. Questo processo permette una ricostruzione emozionale della storia dell’analizzando a partire dalle epoche più precoci dello sviluppo della sua mente. Nel sogno naturalmente tutto l’inconscio si manifesta ed è il luogo dove l’inconscio rimosso e non rimosso possono influenzarsi reciprocamente ed insieme partecipare alla ricostruzione quale momento terapeutico dell’incontro analitico. I sogni, quindi, sono molto di più dell’espressioni mascherata di desideri, come li vedeva Freud, essi possono essere una chiave per comprendere come funziona la nostra coscienza. Essi ci permettono di riconoscere in che modo il nostro cervello produce quello che noi percepiamo come realtà. Quindi i sogni non rimandano solo al passato, ma aiutano a padroneggiare il nostro futuro. Mentre sogniamo le nostre capacità si amplificano e il nostro cervello cambia. Noi impariamo letteralmente mentre sogniamo. La nostra personalità continua sempre a svilupparsi attraverso di essi di notte. I sogni ci mostrano chi siamo e cosa potremmo essere. Il sogno si produce quindi grazie all’attivazione ed alla deattivazione di aree specifiche cerebrali deputate alla memoria (esplicita ed implicita) e al coinvolgimento della corteccia cerebrale nel suo insieme. Il sogno resta comunque un’attività mentale e non un processo fisiologico, anche se è da questo processo che viene scaturito. Il sogno è una rappresentazione pittografica della mente, resa possibile da una specifica organizzazione fisiologica del cervello. E’ un processo di attivazione interna organizzata e non caotica. Il sogno è un evento mentale “obbligato”, denso di significati determinati dalla storia affettiva ed emozionale del soggetto depositata nella sua memoria esplicita ed implicita. Il sogno è quella funzione della mente che crea simboli, trasformando simbolicamente esperienze presimboliche e di creare immagini che colmano il vuoto della non rappresentazione di un inconscio precoce non rimosso, oltre che a riportare alla luce, attraverso il ricordo, esperienze rimosse nell’infanzia (dopo i due anni) e nel corso della vita depositate nella memoria esplicita. La loro interpretazione favorirà il processo ricostruttivo necessario alla psiche per migliorare le proprie capacità di mentalizzare e rendere quindi pensabili, anche se non ricordabili, esperienze all’origine non rappresentabili né pensabile. Nel sonno REM (nello stato del sonno dove i sogni sono più vividi), mentre gli stimoli afferenti e l’attivazione motoria sono molto ridotte, viene altresì stimolata l’attivazione visiva, ed anche l’esperienza somatica e sensoriale dall’interno del corpo è relativamente accessibile. Le immagini attivate soprattutto nel sonno REM sono disponibili per essere connesse agli schemi dissociati che sono stati attivati, fornendo oggetti per sostituire gli oggetti originali allontanati, quindi offrendo significato simbolico a schemi emozionali il cui significato è stato perso o mai decifrato. Le immagini servono come correlati oggettuali per gli stati emotivi, esattamente come accade con le immagini per le forme artistiche. Per Bion la “funzione alfa” trasforma le grezze “impressioni sensoriali collegate all’esperienza emotiva” in elementi alfa che possono essere collegati per formare sogni-pensieri carichi di affetti. In assenza della funzione alfa un individuo non può sognare e quindi non può fare uso della (fare lavoro psicologico inconscio con la) propria esperienza emotiva vissuta, passata e presente. Conseguentemente, una persona incapace di sognare si trova bloccata in un mondo immutabile e senza fine riguardo a ciò che è. L’esperienza che non può essere sognata può aver avuto origine in un trauma un’esperienza emotiva insopportabilmente dolorosa come la morte precoce di un genitore, la morte di un bambino, un combattimento militare, uno stupro o imprigionamento in un campo di sterminio. Ma un’esperienza che non può essere sognata può anche derivare da un “trauma intrapsichico” l’esperienza di essere sopraffatto da una fantasia cosciente o inconscia. Quest’ultima forma di trauma può derivare dal fallimento della madre nel contenere adeguatamente il bambino e nel contenere le sue ansietà primitive, da un fallimento empatico come dice Kohut della funzione di Oggetto-Sé narcisistico rispecchiante ed idealizzante che struttura il Sé del bambino o da una fragilità psichica costituzionale che rende nell’infanzia e nell’adolescenza un individuo incapace di sognare la propria esperienza emotiva, anche con l’aiuto di una madre sufficientemente buona. L’esperienza che non può essere sognata sia in conseguenza di forze prevalentemente esterne oppure intrapsichiche rimane con l’individuo come “un sogno non sognato” in forme come disturbo psicosomatico, psicosi scissa, stati anaffettivi e alessitimici, sacche di autismo, gravi perversioni tossicodipendenze, dipendenze patologiche ecc.