Alessitimia, relazione e disturbi della regolazione affettiva - Associazione Essere Con
20 aprile 2017

Alessitimia, relazione e disturbi della regolazione affettiva

Alessitimia, relazione e disturbi della regolazione affettiva

Alessitimia, relazione e disturbi della regolazione affettiva

A cura di Ivano Frattini

 

Prefazione

Il gruppo di ricercatori di Toronto, con a capo Graeme Taylor, ha assunto un ruolo di primo piano nel panorama contemporaneo delle scienze psicologiche. L'importanza fondamentale sta nel fatto che i ricercatori canadesi sono riusciti a far emancipare il costrutto “locale” di alessitimia, confinata inizialmente nell'ambito esclusivo della medicina psicosomatica, e farlo diventare il cardine di una spiegazione più ampia dei fenomeni clinici legati alla disorganizzazione affettiva. Taylor e i suoi collaboratori sottolineano che il costrutto di alessitimia sia un'entità transnosografica che investe tante patologie. Taylor sottolinea pertanto che non si possa considerare l'alessitimia alla maniera di un fenomeno “tutto o nulla”, come se si trattasse di una incapacità assoluta di provare ed esprimere le emozioni. Essa va piuttosto intesa come un deficit nella capacità di regolare gli affetti, che, a seconda del suo grado di strutturazione, può coinvolgere interamente la vita di un individuo e la sua modalità di esperire il proprio corpo, il proprio mondo interno, e le relazioni con l'ambiente esterno, oppure intaccare specifiche aree mentali relativi a contenuti specifici dell'esperienza.

[caption id="attachment_1564" align="alignnone" width="240"]G. Taylor G. Taylor[/caption]

Alessitimia e regolazione psicobiologica

Sifneos coniò negli anni settanta il  termine alessitimia (dal greco A= mancanza, lexis=parola, Thymos=emozione) per nominare un insieme di caratteristiche cognitive e affettive. Aspetto fondamentale era il discostarsi del concetto di alessitimia da un modello di inibizione: la persona non reprime o inibisce o nega le emozioni, bensì non ha parole; in altri termini: non riesce a esprimere. La condizione alessitimica, quindi, riflette un deficit dei sistemi di risposta emotiva sia a livello cognitivo-esperienziale, sia al livello dell’integrazione degli stati mentali connessi all’emozione: questi livelli dipendono entrambi dalla connessione tra le emozioni (intese come espressioni di un arousal fisiologico), le immagini mentali e il linguaggio simbolico. Ci troviamo senz'altro più nell'area del deficit che non in quella del conflitto. Secondo la sua definizione attuale il costrutto dell'Alessitimia  si compone delle seguenti caratteristiche: 1-difficoltà nell'identificare i sentimenti e nel distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all'attivazione emotiva 2-difficoltà nel descrivere agli altri i propri sentimenti 3-processi immaginativi limitati, evidenziati dalla povertà delle fantasie e infine 4-stile cognitivo collegato allo stimolo reale, concreto e orientato all'esterno. A prima vista alcuni soggetti classificati come alessitimici sembrano contraddire questa definizione del costrutto, in quanto presentano una disforia cronica o manifestano accessi di pianto collera o rabbia. Un'indagine approfondita mostra tuttavia che essi sanno  molto poco sui propri sentimenti e in molti casi sono incapaci di collegarli con ricordi, fantasie, affetti, di livello superiore o situazioni specifiche.  Sulla base di alcune altre osservazioni cliniche diverse caratteristiche addizionali sono state associate con il costrutto dell'Alessitimia tra cui una tendenza al conformismo sociale,  una tendenza a ricorrere all'azione per esprimere le emozioni o per evitare i conflitti, una scarsa capacità di ricordare i propri sogni, una postura piuttosto rigida ed una certa povertà nell'espressione facciale delle emozioni. Se queste caratteristiche sono spesso associate all’alessitimia, esse non fanno tuttavia parte del nucleo teorico del costrutto. Il conformismo sociale, la tendenza all'azione, e l'incapacità di ricordare i sogni non si sono rivelate caratteristiche fondamentali dell'alessitimia nel corso del processo di validazione del costrutto. L'esperienza clinica suggerisce che per caratterizzare l’ alessitimia è più importante la qualità dei sogni che la capacità di ricordarli. Anche se il costrutto dell’alessitimia è definito in termini di caratteristiche cognitive identificabili, queste caratteristiche riflettono dei deficit sia nel dominio cognitivo- esperienziale dei sistemi di risposta emotiva sia a livello della regolazione interpersonale dell'emozione. Essendo incapace di identificare accuratamente i propri sentimenti soggettivi, il soggetto alessitimico  ha una scarsa capacità di comunicare verbalmente agli altri il proprio disagio emotivo, e non riesce quindi ad utilizzare le altre persone come fonti di aiuto o di conforto. La scarsità dell'immaginazione limita inoltre la misura in cui i soggetti alessitimici sono in grado di modulare l'ansia e le altre emozioni mediante la fantasia, i sogni, l'interesse e il gioco. Privi della conoscenza delle loro stesse esperienze emotive, essi non riescono ad immedesimarsi in un'altra persona e sono dunque non empatici ed incapaci di modulare gli stati emotivi degli altri. Se alla base dell’alessitimia ci sono delle menomazioni della capacità di elaborare e regolare le emozioni non è sorprendente che essa sia stata concettualizzata  come un possibile fattore di rischio per molti disturbi somatici e psichiatrici che hanno a che fare con problemi di regolazione affettiva.  Un'incapacità di modulare le emozioni per mezzo dell'elaborazione cognitiva potrebbe anche spiegare la tendenza dei soggetti alessitimici a scaricare la tensione causata da stati emotivi sgradevoli mediante atti impulsivi o comportamenti compulsivi quali abbuffarsi di cibo, l'abuso di sostanze,  il comportamento sessuale perverso o l’inedia volontaria caratteristica dell'anoressia nervosa. Oltre ad una disposizione agli stati affettivi negativi indifferenziati, i soggetti alessitimici mostrano una scarsa capacità di provare anche emozioni positive come gioia, felicità e amore. Lo sviluppo degli affetti e delle capacità di regolazione di questi  è facilitato nella primissima infanzia dall'esperienza di condivisione degli affetti e del rispecchiamento delle espressioni affettive con il caregiver primario (di solito la madre) e in seguito dalle interazioni giocose nelle quali si verifica l'apprendimento della denominazione e dell'espressione dei sentimenti. Numerosi studi hanno dimostrato che quando il caregiver primario non è emotivamente disponibile, o quando il bambino è ripetutamente soggetto a risposte incoerenti a causa della mancanza di sintonizzazione del genitore allora il bambino ha forti probabilità di manifestare delle anomalie nello sviluppo e nella regolazione degli affetti e di sviluppare uno stile di attaccamento insicuro.  I clinici affermano che i soggetti alessitimici tendono a stabilire delle relazioni di marcata dipendenza, ma che queste relazioni hanno un'alta interscambiabilità;  in alternativa essi preferiscono restare da soli e evitare del tutto gli altri. Le persone alessitimiche utilizzano spesso il linguaggio come un atto piuttosto che come un mezzo di comunicazione simbolica di idee o affetti. Il loro stile di comunicazione non è simbolico, il linguaggio è utilizzato per creare barriere impenetrabili, che bloccano ermeticamente l'accesso alla vita mentale e impediscono la formazione di legami emotivi significativi con gli altri. Quindi le caratteristiche dell'alessitimia riflettono una forma di deficit sia nella componente cognitiva ed esperienziale di risposta alle emozioni e sia nella regolazione interpersonale delle emozioni. Quindi nelle persone con un alto grado di alessitimia c'è una difficoltà sia ad esperire sia a riflettere e sia a comunicare agli altri le proprie componenti affettive. Questo non significa che non ci sono le emozioni ma si ha una difficoltà nella loro decodifica sia nel provarle che nel comunicarle. Questo genera il più delle volte una mancanza di potere gestionale e di elaborazione degli affetti e si produce o una affettività dirompente (disturbi psichiatrici) o una mancanza marcata di esperire a livello psichico la propria vita affettiva, anche in questo caso dirompente e caotica ma tutta sedimentata nel corpo. Possiamo senza ricorrere a separazioni tra mente e corpo pensare ad un diverso livello di esperire l'affettività. Per semplificare possiamo dire: un organismo, un corpo-mente può reagire ad un problema di relazione con il mondo o con un aspetto “corpo”(non simbolico, no- elaborazione psichica) quando l'aspetto “mente” non è in grado di farlo. Per questo motivo nei disturbi della regolazione affettiva la mente non entra ancora in gioco e l'affetto è concentrato nel corpo. Per questo sarebbe più opportuno chiamarli disturbi somatospichici. Con questa nuova visione si viene opportunamente a perdere l'idea che una persona si possa “far venire” anche se inconsciamente una malattia. Come abbiamo evidenziato risulta abbastanza chiaro che vi è una notevole comunanza tra il costrutto di “alexithymia”, il concetto di "disgregolazione affettiva" e la malattia somatica intesa come una dissociazione fra i modelli sensoriali e motori di espressione delle emozioni e le parole, intese come rappresentazioni simboliche degli oggetti di cui facciamo esperienza. In questa prospettiva, lo sviluppo emotivo normale dipende dal successo nell'elaborazione ed integrazione dei processi somatici, sensoriali e motori negli schemi emotivi, per cui è il fallimento di questa integrazione a causare i disturbi emotivi; la capacità di un individuo di tollerare gli affetti intensi dipende dall'organizzazione degli schemi emotivi. In questo processo di integrazione, come già detto, è centrale la funzione di “contenimento” svolta dalle figura di riferimento o in generale dall’ambiente di accudimento. Possiamo dire che il concetto di regolazione affettiva non indica semplicemente il controllo delle emozioni, ma la capacità di tollerare affetti negativi (noia,vuoto, perdita, angoscia, depressione, irritabilità, rabbia) intensi e/o prolungati, bilanciandoli con affetti di tono positivo in modo autonomo, ossia senza ricorrere ad oggetti esterni o acting (agiti) comportamentali (desideri suicidi, automutilazioni, uso di sostanze, somatizzazione, disturbi dell'alimentazione, disorganizzazione comportamentale, ecc). Implica quindi l'attivazione di vari sistemi reciprocamente interconnessi di elaborazione della risposta affettiva, nelle sue componenti biologiche (neuro-fisiologiche e motorie) e psicologiche (vissuti ed elaborazioni cognitive). È strettamente connesso alla dimensione intersoggettiva, attaccamento, sia perché le relazioni con gli altri forniscono una regolazione interpersonale degli affetti in senso positivo (ad es. induzione di calma e rilassamento) o negativo (perdita, aggressività, tensione), sia perché sono decisive per l’interiorizzazione della capacità di autoregolazione soggettiva. I disturbi della regolazione affettiva quindi si riferiscono a tutte quelle condizioni cliniche in cui l'individuo non è in grado di utilizzare gli affetti come sistemi motivazionali e di informazione in relazione ai propri stati emotivi ed al rapporto con gli altri. La transizione, allora, dalla salute ad una sindrome somatica funzionale (ad es., la sindrome dell’intestino irritabile) o ad una patologia organica può avvenire se il sistema di disgregolazione delle emozioni disgregola anche altri sistemi biologici del corpo. Sulla base di queste argomentazioni, si può comprendere perché l’alessitimia è oggi più ampiamente concettualizzabile nei termini di disturbo della regolazione affettiva. Infatti, da un punto di vista biologico le emozioni sono semplicemente la manifestazione innata di un’attivazione fisiologica automatica che si produce in risposta a stimoli interni o esterni; tuttavia, affinché queste possano essere utilizzate per la comprensione della propria esperienza psichica e come guida per il comportamento futuro, è necessario innanzitutto che le emozioni possano essere tradotta in fenomeni psicologici, cioè stati affettivi e sentimenti. La distinzione tra emozioni e sentimenti è fondamentale per comprendere e curare i disturbi della regolazione affettiva. Le emozioni, infatti, sono eventi fisici, i sentimenti sono esperienze mentali. Le emozioni vanno in scena nel teatro del corpo, comportando azioni e movimenti,molti dei quali visibili agli altri: si assiste a mutamenti di tipo interno (causati dall’attivazione del sistema nervoso autonomo e neuroendocrino), alla modifica delle espressioni facciali, al cambiamento della postura e del tono di voce; i sentimenti, invece, sono rappresentazioni interne agli stati mentali dell’individuo connessi all’emozione, e vanno perciò in scena nel teatro della psiche. Le emozioni precedono sempre i sentimenti: i mutamenti che hanno luogo nel corpo quando stimoli interni o esterni producono l’attivazione fisiologica vengono rappresentati nel cervello, generando una rappresentazione (sentimento) che riflette lo stato del corpo e lo stato mentale che lo accompagna. Quando i sentimenti possono essere collegati ai ricordi passati, all’immaginazione e al ragionamento, essi possono essere utilizzati come guide per il pensiero e per il comportamento, e dunque per regolare a ritroso gli stati di attivazione emotiva. È chiaro, tuttavia, che l’integrazione delle percezioni relative agli stati corporei all’interno di più complesse rappresentazioni mentali dipende direttamente dalla capacità dell’individuo di formare tali rappresentazioni: nel corso dello sviluppo primario, gli stati presimbolici e sensoriali legati alla percezione dell’emozione vengono connessi a rappresentazioni simboliche, inizialmente attraverso immagini (come l’associazione tra l’emozione e una persona o un evento), e successivamente, quando si sviluppa il linguaggio, attraverso parole che consentono alla persona di definire, identificare e descrivere sentimenti specifici. È attraverso i sentimenti che possiamo conoscere cosa sta accadendo alle nostre emozioni; nell’alessitimia, invece, le emozioni sono collegate solo debolmente ad immagini simboliche e a parole, e sono sperimentate, invece, primariamente come sensazioni fisiche e tendenze all’azione. Occorre considerare quindi che mentre la regolazione emotiva è un fenomeno psicobiologico innato, largamente inconsapevole, che si realizza sin dalla nascita del bambino principalmente sulla base delle sue caratteristiche temperamentali e della relazione con la sua figura di attaccamento, la regolazione affettiva è una capacità che viene acquisita e potenziata nelle diverse fasi dello sviluppo, in rapporto ai contesti relazionali e alle esperienze vissute. La relazione madre bambino può essere considerata come un sistema interattivo che organizza e regola il comportamento e la fisiologia del bambino fin dalla nascita. Tale sistema di regolazione, a partire da un livello di organizzazione bio-neuro-fisiologico, con il graduale sviluppo della capacità di simbolizzazione, di pensiero e di uso del linguaggio, acquisterà via via sempre più valenza psicologica. Il concetto di regolazione affettiva viene chiaramente esplicitato nell'Infant Research soprattutto nella forma di una regolazione reciproca: non solo la madre regola gli stati affettivi del bambino, ma i segnali affettivi provenienti dal bambino regolano a loro volta l'affettività e il comportamento della madre. E' evidente qui il parallelo con il concetto di “sintonizzazione affettiva” di cui parla Stern quando descrive l'interazione tra madre e bambino come una danza, in cui i due, come due virtuosi, creano cicli periodici di attività sincronica. Come accennato in precedenza, la regolazione affettiva dipende certamente (almeno in parte) dai processi autoregolatori interni che riguardano l’emozione (autoregolazione), ma è al contempo sensibile agli effetti che le relazioni interpersonali hanno su tali processi (regolazione interattiva). Si potrebbe dunque affermare che la regolazione affettiva riguarda la capacità (ridotta nei soggetti alessitimici) di elaborare, modulare, e rivalutare le emozioni, ovvero di effettuare una traslazione e una trasformazione dell’emozione sul piano psichico. Osservando la questione da una simile prospettiva, l’alessitimia non rappresenterebbe perciò esclusivamente un disturbo emotivo, ma costituirebbe anche il riflesso di una difficoltà nell’effettuare una trasformazione secondaria delle emozioni, nel dare forma e parola a quei segnali provenienti dal corpo che definiamo emozioni. È proprio qui che alessitimia e disregolazione affettiva tendono a coincidere: in un circolo vizioso, la carenza di consapevolezza rispetto alle emozioni impedisce la trasformazione delle emozioni in sentimenti complessi, rendendo difficoltoso per l’individuo entrare in contatto con i propri bisogni e comprendere quelli degli altri; ciò ostacola di conseguenza la costituzione di modelli più complessi e articolati di se stessi e dei propri stati mentali, che possano essere utilizzati come guida per un comportamento appropriato rispetto ai propri bisogni e alle diverse circostanze sociali e ambientali. L’autoregolazione e la regolazione interattiva degli affetti sono dunque interdipendenti. Questo dato è particolarmente rilevante sul piano clinico: già gli studi in ambito evolutivo e neurobiologico mostrano che sin dall’infanzia i pattern stabili di regolazione interattiva delle emozioni tendono ad essere interiorizzati in forma di strategie di autoregolazione, ed è sempre più accreditata l’ipotesi secondo cui lo stesso processo si verifica all’interno del trattamento psicoterapeutico. Dunque, quando nel trattamento sono presenti schemi relazionali coerenti e stabili che contemplano la convalida interpersonale dei sentimenti del paziente e la contemporanea elaborazione condivisa degli stati affettivi sottostanti, è possibile l’interiorizzazione da parte del paziente di più appropriati sistemi di regolazione degli affetti, che si riverberano sulle sue possibilità di fare un migliore uso delle sue emozioni: se tale processo è in grado di produrre nel paziente un incremento della conoscenza implicita ed esplicita sulle proprie emozioni e sui propri sentimenti, esso promuove lo sviluppo di rappresentazioni di sé più integrate e garantisce una maggiore disponibilità di strategie efficaci di regolazione emotiva e comportamentale. Mentre la difficoltà ad una regolazione affettiva autonoma può portare ad instaurare rapporti compensatori di dipendenza più o meno simbiotica con persone reali esterne per la regolazione affettivo/fisiologica. Questo spiega l'incidenza alta di malattie dopo separazioni e lutti. Si perde il proprio regolatore esterno. Va sottolineato che la presenza di un disturbo della regolazione affettiva non implica necessariamente il riscontro di bassi livelli di emozione espressa. Possono riscontrarsi alti livelli di alessitimia anche in situazioni caratterizzate da alti livelli eccessivi di emozione espressa, o comunque non graduati a seconda della situazione. Quindi possiamo dire che esiste una disgregolazione verso l'alto ed una verso il basso. La base dei viversi fenomeni resta però la presenza di un'emozione non sufficientemente elaborata, pensata, “digerita”. Comunque per stabilire con accuratezza l'indice alessitimico in sede diagnostica è doveroso utilizzare strumenti sensibili che riescano a cogliere in modo approfondito le peculiari aree di disregolazione affettiva del paziente. La Toronto Structured Interview for Alexithymia (TSIA) , è un test creato da dal gruppo di ricercatori di Toronto che consente questo tipo di valutazione. Bisogna sottolineare, inoltre, che non basta un semplice intervento psicologico, ma si ha bisogno di un intervento psicologico specialistico, per evitare effetti iatrogeni sui pazienti. Per esempio, le interpretazioni smisurate alla ricerca di cause eziologiche del disturbo, o orientare la terapia solo sull'aspetto del conflitto, possono portare ad esacerbazioni anche gravi delle manifestazioni morbose di tipo psicosomatico in risposta all’aumento dell’angoscia che il paziente non è in grado di tollerare. Interpretare il deficit come conflitto, significa comunicare al paziente che esso si sta difendendo attraverso i suoi disturbi (per esempio disturbi somatici) per non affrontare aree inconsce da cui si difende. L'aspetto fondamentale è il discostarsi del concetto di alessitimia da un modello di inibizione: la persona non reprime o inibisce o nega le emozioni, bensì non ha parole, non riesce ad esprimere. La disgregolazione affettiva è una incapacità dell’individuo di sperimentare e comunicare il proprio mondo affettivo, non un conflitto fra varie istanze della psiche. Nella terapia si dovrà affrontare una vera e propria educazione emotiva, facendo sperimentare le emozioni, farle esperire e riconoscere, imparare a comunicarle ecc. una vera “Alfabetizzazione emotiva/affettiva” sempre accompagnata da un continuo sostegno al sé della persona e da un lavoro di miglioramento e arricchimento delle modalità relazionali. Possiamo affermare che la disgregolazione affettiva fa parte del sistema affettivo/emotivo, che se alterato può influire sicuramente su altri sottosistemi biologici, come il sistema nervoso autonomo, il sistema endocrino e quello immunitario, contribuendo allo sviluppo di un disturbo o di una malattia somatica. Per questo l’alessitimia è sempre stata considerata associata allo sviluppo delle cosiddette “Malattie psicosomatiche classiche” (Ulcera peptica, asma bronchiale, ipertensione essenziale, tireotossicosi, colite ulcerosa, artrite reumatoide e neurodermiti). Ma risultati di studi recenti hanno inoltre evidenziato una relazione fra l’alessitimia e una varietà di condizioni diverse, come le coronaropatie, il diabete mellito, il morbo di Crohn e il cancro. Frequentemente l’alessitimia influenza il comportamento dei pazienti, specie attraverso la confusione riguardo ai sentimenti e alle sensazioni corporee, con una conseguente cattiva gestione della malattia, caratterizzata da scarse capacità di controllo e ridotta compliance. L’alessitimia non è solo associata ai disturbi psicosomatici o alle somatizzazioni funzionali, ma è stato scoperto, altresì, che essa è una componente importante, anche in altri tipi di disturbi, quali: i disturbi della condotta alimentare, i disturbi della personalità, i disturbi ansiosi, depressivi e di attacchi di panico, e le dipendenze patologiche. Necessario chiarire ulteriormente che il costrutto di alessitimia si differenzia dai modelli basati su un significato simbolico “di conversione”(i disturbi isterici) del sintomo somatico: non c'è qualcosa nella mente (un disagio mentale) che si esprime nel corpo, ma anzi il sintomo somatico si presenta nella misura in cui manca il collegamento con una rappresentazione mentale dell'affetto. Di conseguenza il termine “psicosomatico” appare sempre meno adeguato, in quanto suggerisce inevitabilmente un percorso della psiche verso il soma. Al limite sarebbe più consono alla luce di quanto detto, sostituirlo con disturbo “somatospichico”. Ugualmente fuorviante (e controproducente) appare dire ad un paziente che si presenta da un medico con un disturbo somatico: “lei ha un problema psicologico”, per i seguenti motivi:

1- Come abbiamo visto non è vero. Il sintomo somatico si presenta proprio perchè la relazione ad una situazione di vita non è riuscita a trovare la via della psiche (dei sistemi simbolici).

2- Il paziente può sentirsi etichettato negativamente.

3-Il paziente potrà facilmente intenderlo nei termini di:” allora sono io che me lo sono fatto venire”; “è colpa mia”. Inoltre, anche in rapporto all'atteggiamento del medico, potrà recepire qualcosa del tipo: “è affar tuo”; “non mi riguarda più” “devi risolvertelo da solo”.

Sarà quindi necessario trovare altri tipi di formulazione. Per prima cosa si puo` cercare di dare informazione sui costrutti di alessitimia e regolazione affettiva. Nel momento in cui c'è una richiesta di approfondimento da parte del paziente o al limite se si pensa di avere davanti un paziente con una chiara situazione di disturbo regolativo dell'affettività si potrebbe, a mio avviso, dire questo: “C'è un problema di rapporto con il mondo affettivo e relazionale che trova espressione nel corpo, possibilmente perchè non è stato possibile pensarci abbastanza, prenderlo abbastanza in considerazione mentalmente, anche preoccuparsene abbastanza”. Inoltre di solito dai medici i pazienti che di solito vengono classificati come meritevoli di cure specialistiche psicoterapiche, sono coloro che manifestano chiari segnali di disagio psichico. Al contrario, da tutto quello che abbiamo visto, il soggetto alessitimico non manifesta spesso alcun disagio mentale esplicito, non crea problemi al medico, anzi può risultare remissivo e condiscendente. Se i disturbi che lamenta sono di natura funzionale, e la situazione tende a ripresentarsi, potrà suscitare nel medico accorto il sospetto di una “somatizzazione” o di una dimensione ipocondriaca, e di conseguenza essere ritenuto meritevole di invio; se però il soggetto presenta invece malattie chiaramente organiche questo non mette in alcun modo in discussione i fondamenti istituzionali della relazione medico/paziente, anzi li rinforza; il medico si trova a suo agio nel ruolo di chi cura una malattia “vera”. Il risultato è che tra i pazienti del medico non vengono inviate proprio le persone in cui il rischio per la salute è più alto, avendo trovato soltanto il corpo come espressione del proprio disagio, mentre vengono inviate ad uno specialista della salute mentale essenzialmente le persone che comunque hanno già trovato un'espressione mentale/comportamentale (in genere meno pericolosa per la salute e la sopravvivenza) per i loro problemi.

 

 

Bibliografia essenziale:

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